L'asse Roma / Berlino / Tokyo
Domenica sera di metà gennaio offuscata da nebbiolina giallastra. Viale Certosa offre un assortito catalogo di travanda; in fondo, il cimitero. Nello spiazzo antistante, ricoperto da una patina di neve marrone, si sono dimenticati di demolire una cascina semidiroccata (c'è anche una specie di edicola - massimo dieci metri quadri - che porta la scritta "mercato comunale coperto" - cos'è, un mercato per nani? Dovrò indagare). Nella cascina semidiroccata che sgocciola neve da tutte le parti (colpito da goccia gelida sulla noce del capocollo - bestemmia a riflesso condizionato) si esibisce il cantante di uno dei gruppi più influenti della storia del rock (sì, è un altro capitolo della saga "Milano è attenta alla cultura e ai giovani e la nostra è una città dal respiro e dalle dimensioni europee").
Insomma, in un contesto urbanistico ignobile e inasprito dal gelo, che porterebbe perfino un geometra a suicidarsi tramite ripetute testate contro il bordo del marciapiede (il medico curante di Renzo Piano ha stilato un elenco di zone interdette - per questioni di vita o di morte - al celebre architetto), c'è Damo Suzuki dei Can. Roba da non crederci. E non è la solita vecchia gloria che si comporta da solita vecchia gloria confidando nella presenza dei soliti fan acritici. Il suo progetto Damo Suzuki's Network lo porta già da diversi anni ad esibirsi in compagnia di musicisti sperimentali locali. Quindi ogni concerto, partendo da un canovaccio di base su cui improvvisare, è diverso da tutti gli altri per strumentazione, background e sensibilità dei musicisti coinvolti (l'ensemble di ieri sera, guidato dall'onnipresente Xabier Iriondo, si basava su due slide guitar elettriche e batteria - roba strana e abbastanza diversa da quella che vedete nel video, filmato a Sheffield).
Ma per gustarsi la leccornia, il piatto forte, la morale cristiana insegna che prima bisogna fare penitenza ("prima il dovere, poi il piacere"). Il supplizio (non così tremendo a dir la verità, ma interminabile e completamente fuori tema) si chiama Trance Meeting, dalla Puglia. C'è sto tizio, sicuramente un ex rasta, che deve necessariamente suonare tutta la sua collezione di quarantasette tamburelli mediterranei del cazzo. Che tanto poi, microfonati (con un inedito "microfono da polso") e filtrati attraverso un groviglio di cavi, diventano techno-trance uguale a quella del 1991, quindi bastava usarne uno di tamburello, tanto poi hai gli effetti. Invece no, deve suonare ogni singola percussione per almeno mezz'ora. L'apice patetico lo raggiunge quando si cimenta alla caccavella: vista la particolare tecnica con cui si deve suonare questo curioso oggetto folkloristico, ai lettori omosessuali piacerà sapere che il signor Trance Meeting è bravissimo a fare le seghe. E dire che i suoni in sè sono anche piacevoli all'ascolto (la caccavella microfonata produce un drone profondo e potente, piacerebbe ai Sunn O))) se suonarla in pubblico non fosse così umiliante), ma l'insieme folklore-elettronica fa tanto mondialismo della mutua, è tutto troppo uguale a sè stesso, dura troppo e l'accuratezza tecnica non fa certo parte del bagaglio culturale di quest'uomo (facendo musica che deve essere precisa e ripetitiva, non è bello). La membrana della caccavella è assicurata al corpo cilindrico dello strumento con la cinghia della tapparella, la stessa che usavano gli emigranti per tenere chiusa la valigia di cartone. La trance ha scassato i coglioni, la minimale ha rotto il cazzo e la massimale ha fracassato la minchia. Sotto l'effetto della litania salentina si materializza dal nulla anche una punkabbestia col cane. Ho detto tutto.
Intervallo. Scappo al bar, dove si sono rifugiati tutti quelli che hanno un grado di sopportazione del Salento inferiore al mio, tra i quali ("Che ne dici di sta roba?" - "Fa schifo al cazzo") la fenomenale cantante degli Ovo, in Italia per completare le registrazioni di un nuovo album solista dopo quello del 2006. Mi riprendo dallo scoramento grazie a un bicchierino di Zubrowka, la vodka più buona del mondo, aromatizzata con un'erba caratteristica della foresta di Białowieża e particolarmente gradita ai bisonti. Tale erba contiene cumarina (topicida, in massicce quantità). Va quindi bevuta "con moderazione" ed è pure vietata in molti paesi, ma è troppo buona.
Passiamo all'angolo delle coincidenze. Xabier Iriondo (Mahai Metak - una sorta di slide, chitarra elettrica, oggetti), Maurizio Abate (slide guitar, chitarra elettrica, armonica), Daniele Malavasi (batteria), Maikko e MM (live electronics) sono musicisti italiani (Roma). Damo Suzuki è un cantante giapponese (Tokyo) ma ha raggiunto la fama prestando la propria voce a una straordinaria band tedesca e ha sempre abitato in Germania (Berlino). Unite i nomi delle città con un tratto di penna ed ecco il titolo di questo post. Il concerto si svolge sotto l'egida di un centro sociale, i cui esponenti e gran parte dei frequentatori in questo momento storico di sicuro non appoggiano posizioni politiche filosemite. Che poi devo ancora capire quale sia l'appeal delle faccende israelo-palestinesi presso l'opinione pubblica. Contemporaneamente ci sono nel mondo circa 25 altre guerre al confronto delle quali Gaza è una rissa da bar. La guerra in Congo, ad esempio, è infinitamente più cruenta e sanguinosa, mine antiuomo dappertutto, fanno combattere i bambini, ci sono profughi (al cui confronto i palestinesi sono alta borghesia), curiose malattie come Ebola. Mi sta sui coglioni: in Congo ci sono i gorilla (animali simpatici), la vera foresta pluviale, dei luoghi fenomenali, miliardi di tonnellate di materie prime di ogni tipo e c'è perfino gente che ha la forza di fare musica della stramadonna. L'apporto dato da Israele/Palestina all'umanità è invece paragonabile a quello del Liechtenstein: pompelmi, uno che piegava i cucchiai con la forza del pensiero, la fidanzata di Leonardo Di Caprio. Dal punto di vista paesaggistico sembra la periferia di Caserta trapiantata su una pietraia. Materie prime neanche a parlarne. Rotture di balle, au contraire, tantissime, a cominciare da questo qui. E una massa di teste di cazzo che si menano per questioni di principio. E gli italiani si schierano, prendono posizione, fanno il tifo (curiosamente quest'anno la kefiah è di gran moda, reinterpretata dai maggiori stilisti in colori trendy). L'unica soluzione è lasciar fare, tanto non la smettono. Scommesse?
Torniamo al noise. Damo Suzuki, colpito da logorrea, canta con parole inintelligibili (o forse proprio inventate) per una bella ora e mezza, Iriondo gioca con la Mahai Metak, la massacra con vari strumenti da cucina e non (paglietta di ferro, batticarne, animaletti di plastica, biglie), usa pure un altro strumento mai visto prima che è una specie di slide con tasti come quelli delle macchine da scrivere di una volta. Mah. Misteri senza nome dalle profondità dei magazzini di Sound Metak. Bello, ipnotico, sempre sull'orlo della ripetizione fine a sè stessa dalla quale i nostri si districano con classe. E poi hai a mezzo metro uno che davvero ha fatto la storia, e al quale la struttura da fienile della Cascina Torchiera avrà ricordato non poco le atmosfere dello Schloss Nörvenich, dove provavano e registravano i Can nei primi anni 70. Ve l'ho già detto che un concerto lo vedi bene quando vedi che scarpe indossano i musicisti?
Per concludere in bellezza e per ripagare chi ha letto fino in fondo ecco una bella roba da scaricare: Zhengzheng Rikang, bootleg semi-ufficiale dei Can pubblicato nel 2006 che raccoglie un po' di alternate takes degli albori del gruppo tedesco (1968/69), con Malcolm Mooney alla voce invece di Suzuki (che arrivò dopo). Registrato molto bene in studio, non quelle cagate fatte col walkman, pubblicato solo in vinile, mai incidentato, gomme nuove, meccanica a posto, praticamente perfetto (il link lo trovate nei commenti).