lunedì 31 marzo 2008

I concerti del weekend


Venerdì sera Rhys Chatham: accompagnato dalla crema della sperimentazione milanese, il newyorkese presenta un concerto che sembra il perfetto anello di congiunzione fra i Velvet Underground strumentali e i Sonic Youth. Approccio rock quindi, molto diverso e molto più casinista di quanto proposto normalmente da O' Artoteca. Ho sbagliato nel post precedente a liquidare Chatham come "epigono dei Sonic Youth" - non si può sapere tutto - se quel che ha suonato corrisponde a quel che ha detto («eseguiremo "Guitar Trio" nel modo più fedele possibile all'originale degli anni Settanta»), non è epigono, ma ispiratore. Il caro Jason chiede «come mai questo riesce a tirare un accordo per mezz'ora e risulta piacevole, mentre se lo facciamo noi fa schifo?». Perchè è di New York e non di S.Stefano Ticino o di Rovato o di Forlimpopoli, è questione di genetica. Dopo un'ora di concerto Chatham ha ancora voglia di suonare e, nonostante le rimostranze dei gestori che temono le rappresaglie del vicinato, esegue coi suoi un bis di cinque minuti, atonale e assolutamente irritante per la vecchia del piano di sopra. Interessante il video di immagini a lentissima dissolvenza (di Robert Longo), peccato siano riusciti a far funzionare il lettore dvd solo dopo tre quarti d'ora di tentativi. Risultato: gran parte del concerto in bicromia blu e nera, due colori che sono geneticamente non miei.

Domenica pomeriggio invece il Fuco si è recato al teatro dell'Opera. Non vado mai a vedere la musica classica, ma stavolta si è verificato un evento straordinario nel suo campo, ovvero il compositore che dirige la propria musica. E non un compositore qualunque, ma uno dei maggiori del Novecento, celebre ai più per aver prestato le proprie musiche a Shining di Kubrick. Sembrava di stare al gerontocomio, però il profumo (un melange fra segheria e magazzino dell'Ikea, la sala è tutta foderata in legno) sprigionato dall'Auditorium di Milano è assai gradito alle nari. Di musica classica capisco meno che di jazz, quindi non posso dire altro che "bravi" all'orchestra e al direttore. Krzysztof Penderecki dirige prima un brano proprio (del 2001), ricco di percussioni e suggestioni cinematografiche tese e oscure, con un trio di violoncelli in primo piano, e poi la Quarta di Beethoven, una delle sinfonie meno conosciute che, in effetti, non ha temi portanti memorabili. Mi devo fidare del pubblico di grandi invalidi che si è spellato le mani richiamando i protagonisti sul palco quattro o cinque volte. Certo che gli organizzatori sembrano voler allontanare intenzionalmente il pubblico da appuntamenti come questo. Sul programma ufficiale (che contiene anche una selezione di ricette polacche in omaggio al direttore, pancione di caratura internazionale - viva la minestra di maiale e fagioli!) c'è una lettura critica dell'opera di Penderecki che solo altri direttori d'orchestra credo siano in grado di comprendere.

Cito la boiata pazzesca: «il Tranquillo spegne l'intreccio "passionato" (come prescritto agli interventi dei solisti) nella pace di una quinta vuota Do-Sol, la cui indeterminatezza era presagita dal repentino passaggio da maggiore a minore delle triadi che caratterizzavano il ritornello basato sull'Adagio, e che "risolve" l'ambito di trìtono Do-Sol bemolle del motivo di apertura». Insomma mancano solo l'occhio della madre e il montaggio analoggico. A completare l'atmosfera fantozziana contribuisce l'elenco completo di titoli, cariche e onorificenze detenuti dal cardinal conte duca Penderecki. Mancano solo lup. mann., gran. figl. di putt. e la coppa Uefa. Sarò pure un ignorante, ma non ho bisogno di sapere di trìtoni o quinte vuote per apprezzare la musica - io ci vado lo stesso e ascolto con lo stesso atteggiamento che ho al cospetto dei Motörhead, ma con tirate così inutili e pretenziose ti giochi un bel novanta per cento del pubblico potenziale, quello col complesso d'inferiorità al cospetto della kultura. Cazzi loro.

venerdì 28 marzo 2008

Quattrocento chitarre


Rhys Chatham ha fatto un concerto per quattrocento chitarre alla Notte Bianca di Parigi: pregasi confrontare con la Notte Bianca di Milano - all'ultima edizione c'erano il sosia di Tony Manero e una mostra fotografica sulla storia della nettezza urbana. Mancava soltanto il seminario sul taglio delle vene con distribuzione gratuita di lamette gentilmente fornite dal nostro sponsor tecnico (qui vi spiegano come spaventare i vostri amici con lo scherzo del finto suicidio). Rhys Chatham ha fatto anche dei più "comodi" concerti per cento chitarre (quattro video per testimoniarne uno: uno, due, tre e quattro). Naturalmente a Milano si presenta con la formazione "da camera" che si chiama "Guitar Trio" ma è fortunatamente un po' più numerosa. Comunque siamo di fronte a uno degli originali animatori della no wave newyorkese (per una biografia completa rivolgersi qui). Musica che assomiglia tantissimo a certi strumentali dei Sonic Youth, il che mi fa riflettere sulla presunta valenza "sperimentale" di questa roba. La vecchia gloria dell'avanguardia che non ha più molto di nuovo da dire e a casa sua viene ormai considerato superato - ma ehi, c'è tutto un mondo là fuori dove credono che la mia arte sia ancora l'ultimo grido. Tipo Milano. Io vado consapevole del fatto che O' Artoteca sembra specializzata nel ripescare le avanguardie newyorkesi di trent'anni fa - d'altronde anche in India fanno ancora la Vespa come quella di trent'anni fa, bisogna rassegnarsi. Per fortuna suona con dei musicisti un pochino più giovani di lui.

RHYS CHATHAM GUITAR TRIO

O' ARTOTECA (Mi)
28 marzo 2008
h. 21:00
ing. 10 €

giovedì 27 marzo 2008

Alms

Rieccomi a voi dopo i festeggiamenti per l'inchiodato alla croce. Come al solito è risorto, così l'anno prossimo lo si potrà inchiodare di nuovo (incipit da inquadrare nell'ottica di una campagna di spudorate leccate di culo a quelli di SoloMacello, che proseguirà per qualche mese - a me di religioni o controreligioni non frega un cazzo, a loro sì). La copertina marrone che vedete alla vostra sinistra (con riquadro centrale stampato su carta igienica - per davvero) è quella di una compilation uscita qualche anno fa per rimpinguare le asciutte casse di una gloriosa fanzine psichedelica, Ptolemaic Terrascope. La compilation ha evidentemente ottenuto i risultati sperati, in quanto la fanza esiste ancora (seppur a cadenza molto occasionale) e ogni giugno organizza un festival da leccarsi le orecchie (nel caso vi trovaste a passare nelle vicinanze di Louisville, Kentucky). Non è tutto straordinario, ma il disco è raro e chi si diletta di psichedelia rumorosa non può fare a meno di gruppi quali Jessamine, Ash Castles on the Ghost Coast e Dry Nod.

ALMS: A BENEFIT FOR PTOLEMAIC TERRASCOPE
FLEECE/WORSHIP GUITARS FL#6 (1997)
320 kbps

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martedì 18 marzo 2008

Arriva la madama


Stasera curioso evento in un posto a me ignoto, il Circolo Culturale La Scheggia. Madame P (video) costruisce loop elettronici di voci e sonorizza un film muto del 1919. La Madama oltre a essere molto brava e a poter vantare numerosi tour americani ed europei, è anche amica mia quindi la garanzia di qualità è assicurata.

MADAME P sonorizza MADAME DUBARRY di ERNST LUBITSCH (1919)
CIRCOLO CULTURALE LA SCHEGGIA (Mi)
18 marzo 2008
h. 21:00
Dovrebbe essere gratis con tessera (e un'altra inutile tessera andrà a gonfiare ulteriormente un portafoglio pieno di tessere e biglietti da visita - soldi pochissimi, e quasi tutti di metallo, pesanti e che non valgono un cazzo)

Due parole su ieri sera: al Blue Note trattamento principesco, accredito e tavolo riservato, peccato non permettano di filmare. Di fotografare sì, di filmare no. Comunque ottima prova dei due mostri sacri più un "giovane". Siamo ai confini del jazz. Quello che hanno suonato viene considerato jazz per convenienza e curriculum dei musicisti, perchè hanno il sax e la tromba. Ma io lo definirei piuttosto "noise acustico", o "musica contemporanea", qualcun altro potrebbe anche dire "roba pallosa e seriosa da intellettuali borghesi di sinistra". Solo Wadada Leo Smith (alla tromba) in qualche passaggio mi ha ricordato che questa dovrebbe essere la musica dei negri. Mitchell si è esibito in un paio di sfuriate al sax in respirazione circolare (come si faccia non lo capirò mai) e Harrison Bankhead, il "giovane" (cinquant'anni, centoottanta chili, vestito con una specie di tendaggio cinese coi draghi ricamati) al contrabbasso e violoncello, è un mostro. Sa tirar fuori dai suoi strumenti una varietà di suoni che non credevo possibili. Sono tre solisti fenomenali, che mi hanno infatti convinto pienamente quando hanno suonato da soli, un po' meno in ensemble. L'impressione è che la formazione in trio appiattisca le genialità e le asperità di ognuno. Opinione personalissima e discutibilissima, io di jazz non so un cazzo, non capisco un cazzo e non voglio nemmeno capire. Mi piace e basta.

lunedì 17 marzo 2008

Negro profeta in patria


Prendetevi dieci minuti di tempo e guardate questo breve documentario, nessuna tv lo passerà mai. In realtà non è breve ma chi lo ha caricato vuole venderlo, è solo la prima parte ma basta a far venire l'acquolina per il concerto di stasera. Sgombro il campo da eventuali dubbi: non suona l'Art Ensemble of Chicago (magari - anche se due dei membri originali sono salme) ma comunque avremo Roscoe Mitchell sul palco del solito localaccio dove gli avvocati cinquantenni mangiano durante i concerti e palpano le cosce delle loro stagiste mentre le mogli, ignare, sono a casa davanti al Grande Fratello - o forse a letto col Grande Fratello Negro. Non mi metto a raccontare di Roscoe Mitchell, non lo so fare e non me ne vergogno, leggete qui e saprete tutto, nell'intervista (del 1999) il nostro stupisce con affermazioni che anticipano con esattezza quello che sta succedendo oggi nel mondo musicale, riuscendo pure a prendersi gioco di un giornalista borioso e di Blow Up. Riporto il passaggio dell'intervista perchè fa troppo ridere.

Dato che hai nominato Den Haag, conosci un musicista che vive lì, Luc Houtkamp? Suona il sassofono, compone e sperimenta con l'elettronica.


No.

Tra i musicisti più giovani che lavorano a Chicago che opinione hai, ad esempio, di Ken Vandermark?


Non so nemmeno se lo conosco...

Tra gli altri ha suonato anche con John McPhee...


Non lo conosco tanto bene.

E Rob Mazurek? Suona la cornetta...

Non conosco la loro musica.

Fine del siparietto comico. Ovviamente Roscoe (sax) non va in tour con dei pirla, ma si porta Wadada Leo Smith (tromba), stesso giro di Chicago e stessa adorazione per Braxton e il "giovane" Harrison Bankhead (contrabbasso) che non ho mai ascoltato ma dopo stasera potrò abbaiare di conoscerlo da anni. Si vede che di jazz non so niente eh? Viste le figure in cui incappano gli "esperti" quando si bullano al cospetto dei mostri sacri, meglio l'ignoranza.

ROSCOE MITCHELL / WADADA LEO SMITH / HARRISON BANKHEAD
BLUE NOTE (MI)
17 marzo 2008
h. 21:00
ing. € 20 - ridotto € 16 (non so da cosa dipenda la riduzione, nel caso fingete invalidità)

venerdì 14 marzo 2008

Heron King Blues

Disco marrone. Destino comune a quasi tutti i dischi di questo colore, non ha ricevuto le attenzioni che merita. Califone: non è il motorino degli zarri degli anni Settanta, ma un giradischi particolarmente robusto in dotazione alle scuole elementari americane del passato - la casa produttrice si è adeguata alla tecnologia che avanza - fabbrica anche queste clamorose cuffie a forma di animale. I Califone, dicevo, normalmente fanno un misto di country, folk e psichedelia, ma questo disco è profondamente diverso. Invece di ispirarsi alla solita polverosa tradizione, Heron King Blues prende come punto di partenza Captain Beefheart. Tutti voi cuori di bue sbaverete per la title track, e non solo.

CALIFONE
HERON KING BLUES
THRILL JOCKEY 135 (2004)
320 kbps

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giovedì 13 marzo 2008

Attributi





In viale Enrico Fermi ci sono la camera mortuaria dell'ospedale, un nutrito parterre di puttane, un gigantesco dinosauro di gomma appeso a un traliccio e il Legend 54. Al Legend 54 hanno suonato i Chesterfield Kings. I Chesterfield Kings hanno un cantante decisamente ambiguo e un roadie con maschera da lottatore messicano che lancia grossi palloni gonfiati in mezzo al pubblico. Miscela instabile di Rolling Stones, Stooges, New York Dolls, Dead Boys, esplosivi. Per la perfezione mancava solo la rete da pollaio a cintare il palco. Buoni anche i Cavemen in apertura, bitt italiano dalla terra del lissio. Oggi sono telegrafico, lunghezza del post inversamente proporzionale alla statura dei Chesterfield dal vivo.

mercoledì 12 marzo 2008

Vieni anche tu nel nostro mondo di caramelle colorate


Eccone altri, di falliti professionali. Gente che ha cominciato nel 1979, in piena ansia punk, facendo musica che nessuno cagava più da almeno dieci anni. Il garage stile "Back from the grave". Acidi, palloncini colorati e capelli lunghi in un'epoca di anfetamine e rasature perfette. Fatto sta che il "garage rock revival" diventa addirittura un genere, i Chesterfield Kings ne sono pionieri. Immaginate se un gruppo che si forma adesso si mettesse a fare musica che era in voga nel 1994 (lo scarto temporale è lo stesso): nessuno se ne accorgerebbe, di questo scarto. I tempi sono diversi, vale tutto, nel rock i generi convivono tutti insieme (è un bene secondo me) ma sono anche molto meno caratterizzati. E le band del 1994 sono in giro ancora quasi tutte. Longevità, e va bene, ma anche un certo immobilismo. I Chesterfield Kings da ventinove anni fanno musica vecchia di quaranta. Quello che piace a me. Il cantante con quelle canottierine luccicanti sembra un po' un'orecchia ma per stavolta si chiude un occhio (in realtà non me ne frega un cazzo ma mi piace il gioco di parole). Qui un loro video vecchio e che sembra antico. E qui la storia di quella canzone. Meglio l'originale? Per forza.

THE CHESTERFIELD KINGS
LEGEND 54 (Mi)
12 MARZO 2008
h. 22:00
ing. 15 € + tessera (non so quale, in sto posto non ci sono mai stato, è a mezzo chilometro da casa mia e non promette un cazzo bene)

lunedì 10 marzo 2008

Elfi vs. orchi (vincono gli orchi)





Vai per vedere i Black Dice (cioè, massacro) e ti ritrovi in apertura di concerto una fighetta islandese che suona folktronica coi piedi. Non è il solito eufemismo: questa davvero aziona i tasti del sequencer e dei vari effetti collegati alla voce e alla chitarra coi piedi. Nudi. Particolare che, unito a un aspetto da elfo sedicenne (ma si sa, gli elfi ne dimostrano sedici e ne hanno settemilaottocento), avrà fatto sussultare più di una mutanda. Vale anche l'eufemismo: suona coi piedi, in qualunque modo vogliate interpretarla questa affermazione è vera. Ha qualche buono spunto e una voce così flebile da non sembrare umana (aveva il cappuccio, non si capiva se le orecchie erano a punta), ma è davvero troppo inesperta per potersi presentare su un palco. Ho le mie idee maschiliste sul motivo recondito della sua presenza in tour con un gruppo di sadici del rumore, inutile che ve lo dica chiaro e tondo, potete arrivarci da soli. In ogni caso alla Fica (bevitrice di whisky, un più sul registro) si perdona tutto, quindi applausi scroscianti.

L'approccio dei Black Dice ai loro marchingegni è quello di un bambino di tre anni alle prese con l'album da colorare: se ne frega di rispettare i contorni e scarabocchia. Ma, con lo scorrere dei minuti, lo scarabocchio si trasforma in qualcosa di compiuto, pesantissimo e davvero cattivo. Carta vetrata che ti raschia la corteccia cerebrale. Hanno anche una parvenza di groove - industriale, lento, scandito - che fa ondeggiare qualche testa. Sono un'evoluzione anarchica del sound dei Pan Sonic. Non c'è soluzione di continuità, le "canzoni" finiscono quando i tre newyorkesi mollano le manopole per sorseggiare la birra, mentre il suono si avvita su sè stesso, in picchiata verso uno schianto inevitabile. Deglutito il liquido giallo, come aviatori alcolizzati riprendono le cloche ed evitano per un soffio lo stallo che prelude alla catastrofe. Ovviamente nessuna concessione al pubblico e niente bis, light show coloratissimo, qui un'altra dimostrazione visiva della loro crudeltà. Ora, se mi dicono che i Black Dice a New York si esibiscono nel giro delle gallerie d'arte trendy, ci credo, hanno l'autorità per farlo. Sono strani, potenti, visionari, fuori dagli schemi, hanno uno stile personale. Cosa ci facciano questi altri nel giro delle gallerie d'arte newyorkesi rimarrà per sempre un mistero.

venerdì 7 marzo 2008

Epilessia / droga / omicidio


Vi sfido a guardare per intero questo video. E' del genere sconsigliato agli epilettici, ma anche i meno impressionabili (soprattutto da metà in poi) potrebbero essere costretti a distogliere lo sguardo. Il video inquadra perfettamente la fuorezza dei Black Dice, band newyorkese che gode di un'incomprensibile notorietà. Ah già, i DFA li hanno remixati, quindi qualcuno si presenterà al concerto aspettandosi la cassa dritta. Non penso che la troverà. La cassa dritta sta ai Black Dice come la pista cifrata sta al Bartezzaghi. Comunque con "notorietà" intendo dire che al concerto ci saranno magari duecento persone invece di quindici. Le loro ondate rumoristiche mi fanno venire in mente la descrizione degli effetti di una droga immaginaria che Giorgio Scerbanenco ha inserito in un suo racconto. Cito anche se non ne sono degno:

"Il Bolder è uno dei meno nobili allucinogeni, anche i più avidi di droghe hanno timore dei suoi effetti brutali. Ma è appunto la violenza, l'immediatezza, la brutalità dei suoi effetti che attira molta gente".

Ad aggiungere ulteriori elementi di inquietudine alla performance di questo gruppo di bruciati, vi ricordo il motivo che causò l'annullamento istantaneo della loro data milanese del 2004. I Dadi Neri compaiono all'orizzonte e la gente si spara in mezzo alla strada.

BLACK DICE + KRÍA BREKKAN (la tipa dei Mùm ndr)
CIRCOLO MAGNOLIA (SEGRATE)
9 MARZO 2008
h. 22:30
ing. 10 € + tessera ARCI

giovedì 6 marzo 2008

First Album

Questo blog ha una passione per i dischi con le copertine gialle e/o marroni. Soprattutto se sono dei grandi dischi. Grandi dischi che puntano al mimetismo, alla dissimulazione. Credo che poche copertine siano più anonime di questa. I (gli? Mai capito) ZZ Top hanno sempre avuto una vena per le copertine brutte o tamarrissime - ma d'altronde sono texani, mica froci. Questa copertina, in particolare, potrebbe andare bene per una compilation di blues degli anni 20, quelle edizioni accademiche tipo Smithsonian Folkways, pettinatissime© ma non certo accattivanti esteticamente. E lontane musicalmente da un disco - blues, certo, anzi "certificato" - che non suscita semplice struggimento, ma ti butta a pedate nel culo fuori dal bar se lo guardi storto. E' abbastanza il finale di Bedroom Thang. Non inquietatevi se un cespuglio di tumbleweed attraverserà rotolando il vostro salotto. E quella strana bestia che fa capolino da dietro il lavandino non è uno scarafaggio molto grasso, ma un armadillo. Il primo album dei (degli? Mai capito) ZZ Top accelera il processo di desertificazione.

ZZ TOP
ZZ TOP'S FIRST ALBUM
LONDON PS 584 (1970)
VBR

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mercoledì 5 marzo 2008

La serata si svolgerà stasera / 35

E' troppo tempo che i miei amici uffici stampa stupidi mancano da queste pagine. Non che siano migliorati, tutt'altro. Inoltre ho un archivio costruito pazientemente in anni di lavoro da cui attingere. Ecco cinque nuovi motivi di ilarità tratti dai comunicati stampa più beoti. Non ti è chiaro? Leggi qui!

· Ritorna anche questo Venerdì e per tutti i Venerdì del mese l'appuntamento Cloù dei nottamboli.

· Fatto bagordi? buon per voi, se state leggendo questa email, vuol dire che siete stati bravi e siete riusciti a farli con intelligenza, portando con voi un astemio addetto alla guida oppure siete stati solo fortunati...

· Hai mai pensato di poter suonare con la chitarra di Piero Pelù, indossare la coppola di Eros Ramazzotti o bere un aperitivo con Federica Panicucci?

· Conformemente a una preoccupazione che si riconosce costante nell'oeuvre di ***, il congegno compositivo predisposto nella prima versione di ***, nel ricondurre gli aspetti dissimulativi di un ponderato grado d'organizzazione strutturale al risultato fortuito di un automatismo puramente combinatorio, assumeva dunque in primo luogo l'identità di una preminente mimesi metalinguistica.

· Raggiungere il futuro guardando al passato; anche il claim lo recita, continuamente ed esasperatamente, in spot radiofonici, grafica e videoarte, prima il sabato che è ***, la discoteca, e poi il venerdì che è la nuova incognita da scoprire, il fuTuro, come se per raggiungere il nuovo, fosse necessario resettarsi, riprogrammarsi e guardare al passato...

Questa roba mi lascia esausto, non ce la faccio più a commentarla. Adesso mi ascolto il disco nuovo degli Ufomammut e mi ripiglio.

martedì 4 marzo 2008

QUESTO è indie. QUESTO è emo.


La trasfigurazione del blues. Certo il concetto di blues degli Uzeda non è quello canonico delle dodici battute. Ne esumano il corpo, lo disossano. E ricompongono l'ossatura in modo asimmetrico, doloroso, sbagliato. Modificazioni corporee radicali che non permetterebbero il corretto funzionamento motorio, se non con la forza dei nervi, urlando e zoppicando. E ci sono un andamento scaleno, una chitarra che urla e una donna che urla. Quest'ultima nel video si sente poco ma ho dovuto operare una scelta: o mi metto sotto il palco e filmo quello che succede con l'audio che esce dai monitor (quindi chitarra a palla e voce bassissima) o mi metto più indietro, sento bene ma poi non posso farvi vedere TeleFuco. Nonostante il batterista non sappia cosa siano i quattro quarti (non esce un ritmo quadrato dai suoi tamburi), gli Uzeda sono quadrati dentro. Non sbagliano mai, sono millimetrici, esperti, affiatati, concitati. Disperati, al punto di stupirsi ancora come bambini davanti all'ovazione dei fans. E' proprio vero che l'umiltà è la virtù dei grandi. Qui altri video da questo grande concerto: uno, due, tre, quattro e cinque. Chiudo con una domanda: quanti gruppi italiani possono vantare le Peel Sessions nella propria discografia? Ve lo dico io. Uno.

lunedì 3 marzo 2008

Calo il tris d'assi




Due video su tre concerti visti giovedì scorso, manca quello di Stefano Pilia perchè ha suonato al buio ma ha comunque offerto una performance all'altezza delle altre due. Nei video sopra vi potete vedere i concerti interi. Tre showcase molto brevi ma meglio così, non c'è tempo per stufarsi e in galleria non c'è il bar, mi stava venendo al gola secca (ho ispezionato il cesso nella speranza del lavabo, ma niente - gabinetto minimalista con la tazza e basta). Stefano Pilia, dicevamo, è un chitarrista che fa parte (con Rocchetti) dei post-rockers 3/4HadBeenEliminated, un altro gruppo che ottiene più consensi all'estero che in Italia (pubblicano per la pettinata® Soleilmoon, che conoscerete senz'altro se vi piacciono Hafler Trio, Muslimgauze o Legendary Pink Dots). Niente post-rock nel suo concerto solista ma trame di chitarra ambient melodiche e molto effettate che mi ricordano uno Scott Tuma meno country (Tuma potevate scaricarlo da qui qualche mese fa, se non l'avete fatto cazzi vostri). La formula escogitata per i tre concertini (venti minuti di concerto-venti minuti di pausa) funziona, è fresca, tranne che per la mia gola, e raduna un pubblico ben più ampio di quello che mi aspettavo. Anche Claudio Rocchetti tralascia il post rock e si dedica a un set elettroacustico che col passare dei minuti sfocia nel rumore puro, lancinante come un treno che deraglia (potente, ma anche il concerto più convenzionale della serata, comunque ben venga). Belfi (batterista dei Rosolina Mar) cambia completamente genere ancora una volta. Batteria amplificata con un microfono volante, vari oggetti percussivi, spazzole, loop, registrazioni radiofoniche: psichedelia sporca e ancestrale, la mia registrazione difetta in qualità, ma vi assicuro che è davvero bravo, misurato ed evocativo. Tutta roba di lusso che nel cosiddetto festival di riferimento dell'underground italiano non finirà mai, perchè non fanno pop di merda (suonando al MiAmi si consegue il certificato di inutilità). Domani vi racconto di un altro gruppo spettacolare accomunato dallo stesso destino.