lunedì 19 gennaio 2009

L'asse Roma / Berlino / Tokyo


Domenica sera di metà gennaio offuscata da nebbiolina giallastra. Viale Certosa offre un assortito catalogo di travanda; in fondo, il cimitero. Nello spiazzo antistante, ricoperto da una patina di neve marrone, si sono dimenticati di demolire una cascina semidiroccata (c'è anche una specie di edicola - massimo dieci metri quadri - che porta la scritta "mercato comunale coperto" - cos'è, un mercato per nani? Dovrò indagare). Nella cascina semidiroccata che sgocciola neve da tutte le parti (colpito da goccia gelida sulla noce del capocollo - bestemmia a riflesso condizionato) si esibisce il cantante di uno dei gruppi più influenti della storia del rock (sì, è un altro capitolo della saga "Milano è attenta alla cultura e ai giovani e la nostra è una città dal respiro e dalle dimensioni europee").

Insomma, in un contesto urbanistico ignobile e inasprito dal gelo, che porterebbe perfino un geometra a suicidarsi tramite ripetute testate contro il bordo del marciapiede (il medico curante di Renzo Piano ha stilato un elenco di zone interdette - per questioni di vita o di morte - al celebre architetto), c'è Damo Suzuki dei Can. Roba da non crederci. E non è la solita vecchia gloria che si comporta da solita vecchia gloria confidando nella presenza dei soliti fan acritici. Il suo progetto Damo Suzuki's Network lo porta già da diversi anni ad esibirsi in compagnia di musicisti sperimentali locali. Quindi ogni concerto, partendo da un canovaccio di base su cui improvvisare, è diverso da tutti gli altri per strumentazione, background e sensibilità dei musicisti coinvolti (l'ensemble di ieri sera, guidato dall'onnipresente Xabier Iriondo, si basava su due slide guitar elettriche e batteria - roba strana e abbastanza diversa da quella che vedete nel video, filmato a Sheffield).

Ma per gustarsi la leccornia, il piatto forte, la morale cristiana insegna che prima bisogna fare penitenza ("prima il dovere, poi il piacere"). Il supplizio (non così tremendo a dir la verità, ma interminabile e completamente fuori tema) si chiama Trance Meeting, dalla Puglia. C'è sto tizio, sicuramente un ex rasta, che deve necessariamente suonare tutta la sua collezione di quarantasette tamburelli mediterranei del cazzo. Che tanto poi, microfonati (con un inedito "microfono da polso") e filtrati attraverso un groviglio di cavi, diventano techno-trance uguale a quella del 1991, quindi bastava usarne uno di tamburello, tanto poi hai gli effetti. Invece no, deve suonare ogni singola percussione per almeno mezz'ora. L'apice patetico lo raggiunge quando si cimenta alla caccavella: vista la particolare tecnica con cui si deve suonare questo curioso oggetto folkloristico, ai lettori omosessuali piacerà sapere che il signor Trance Meeting è bravissimo a fare le seghe. E dire che i suoni in sè sono anche piacevoli all'ascolto (la caccavella microfonata produce un drone profondo e potente, piacerebbe ai Sunn O))) se suonarla in pubblico non fosse così umiliante), ma l'insieme folklore-elettronica fa tanto mondialismo della mutua, è tutto troppo uguale a sè stesso, dura troppo e l'accuratezza tecnica non fa certo parte del bagaglio culturale di quest'uomo (facendo musica che deve essere precisa e ripetitiva, non è bello). La membrana della caccavella è assicurata al corpo cilindrico dello strumento con la cinghia della tapparella, la stessa che usavano gli emigranti per tenere chiusa la valigia di cartone. La trance ha scassato i coglioni, la minimale ha rotto il cazzo e la massimale ha fracassato la minchia. Sotto l'effetto della litania salentina si materializza dal nulla anche una punkabbestia col cane. Ho detto tutto.

Intervallo. Scappo al bar, dove si sono rifugiati tutti quelli che hanno un grado di sopportazione del Salento inferiore al mio, tra i quali ("Che ne dici di sta roba?" - "Fa schifo al cazzo") la fenomenale cantante degli Ovo, in Italia per completare le registrazioni di un nuovo album solista dopo quello del 2006. Mi riprendo dallo scoramento grazie a un bicchierino di Zubrowka, la vodka più buona del mondo, aromatizzata con un'erba caratteristica della foresta di Białowieża e particolarmente gradita ai bisonti. Tale erba contiene cumarina (topicida, in massicce quantità). Va quindi bevuta "con moderazione" ed è pure vietata in molti paesi, ma è troppo buona.

Passiamo all'angolo delle coincidenze. Xabier Iriondo (Mahai Metak - una sorta di slide, chitarra elettrica, oggetti), Maurizio Abate (slide guitar, chitarra elettrica, armonica), Daniele Malavasi (batteria), Maikko e MM (live electronics) sono musicisti italiani (Roma). Damo Suzuki è un cantante giapponese (Tokyo) ma ha raggiunto la fama prestando la propria voce a una straordinaria band tedesca e ha sempre abitato in Germania (Berlino). Unite i nomi delle città con un tratto di penna ed ecco il titolo di questo post. Il concerto si svolge sotto l'egida di un centro sociale, i cui esponenti e gran parte dei frequentatori in questo momento storico di sicuro non appoggiano posizioni politiche filosemite. Che poi devo ancora capire quale sia l'appeal delle faccende israelo-palestinesi presso l'opinione pubblica. Contemporaneamente ci sono nel mondo circa 25 altre guerre al confronto delle quali Gaza è una rissa da bar. La guerra in Congo, ad esempio, è infinitamente più cruenta e sanguinosa, mine antiuomo dappertutto, fanno combattere i bambini, ci sono profughi (al cui confronto i palestinesi sono alta borghesia), curiose malattie come Ebola. Mi sta sui coglioni: in Congo ci sono i gorilla (animali simpatici), la vera foresta pluviale, dei luoghi fenomenali, miliardi di tonnellate di materie prime di ogni tipo e c'è perfino gente che ha la forza di fare musica della stramadonna. L'apporto dato da Israele/Palestina all'umanità è invece paragonabile a quello del Liechtenstein: pompelmi, uno che piegava i cucchiai con la forza del pensiero, la fidanzata di Leonardo Di Caprio. Dal punto di vista paesaggistico sembra la periferia di Caserta trapiantata su una pietraia. Materie prime neanche a parlarne. Rotture di balle, au contraire, tantissime, a cominciare da questo qui. E una massa di teste di cazzo che si menano per questioni di principio. E gli italiani si schierano, prendono posizione, fanno il tifo (curiosamente quest'anno la kefiah è di gran moda, reinterpretata dai maggiori stilisti in colori trendy). L'unica soluzione è lasciar fare, tanto non la smettono. Scommesse?

Torniamo al noise. Damo Suzuki, colpito da logorrea, canta con parole inintelligibili (o forse proprio inventate) per una bella ora e mezza, Iriondo gioca con la Mahai Metak, la massacra con vari strumenti da cucina e non (paglietta di ferro, batticarne, animaletti di plastica, biglie), usa pure un altro strumento mai visto prima che è una specie di slide con tasti come quelli delle macchine da scrivere di una volta. Mah. Misteri senza nome dalle profondità dei magazzini di Sound Metak. Bello, ipnotico, sempre sull'orlo della ripetizione fine a sè stessa dalla quale i nostri si districano con classe. E poi hai a mezzo metro uno che davvero ha fatto la storia, e al quale la struttura da fienile della Cascina Torchiera avrà ricordato non poco le atmosfere dello Schloss Nörvenich, dove provavano e registravano i Can nei primi anni 70. Ve l'ho già detto che un concerto lo vedi bene quando vedi che scarpe indossano i musicisti?

Per concludere in bellezza e per ripagare chi ha letto fino in fondo ecco una bella roba da scaricare: Zhengzheng Rikang, bootleg semi-ufficiale dei Can pubblicato nel 2006 che raccoglie un po' di alternate takes degli albori del gruppo tedesco (1968/69), con Malcolm Mooney alla voce invece di Suzuki (che arrivò dopo). Registrato molto bene in studio, non quelle cagate fatte col walkman, pubblicato solo in vinile, mai incidentato, gomme nuove, meccanica a posto, praticamente perfetto (il link lo trovate nei commenti).

mercoledì 14 gennaio 2009

Al cineforum


In Italia siamo al punto che se vuoi vedere un film decente devi recarti in un ex negozietto monovano trasformato in centro culturale con una cinquantina di sedie di legno e un tappeto (dove autopunirsi nella posizione del fior di loto se arrivi tardi e le sedie di legno sono già tutte occupate). Ieri sera è andata così. Situazione da cantina rumena in epoca Ceausescu, con i sovversivi filo-occidentali che si ritrovano per vedere Rambo 2, e chi pesca la pagliuzza più corta sulla porta a fare il palo, tre fischi brevi e uno lungo se arrivano quegli infami della Securitate.

Il film. Chapter 27, dell'esordiente J.P. Schaefer, racconta dell'omicidio di John Lennon dal punto di vista dell'assassino Mark David Chapman. Vabbè, il folle va a New York, aspetta Lennon sotto casa per tre giorni, si fa autografare il disco, gli spara, Lennon crepa, Chapman va in galera. Non gridate "Spoiler! Spoiler!" perchè non è la trama il punto, è come se vi avessi raccontato il Gesù di Zeffirelli. Chapman dopo trent'anni e un solo omicidio è ancora in gabbia (mica come da noi), nel caso lo scarcerassero mi offro di ospitarlo, chissà mai voglia rinverdire i fasti del passato collaborando con qualcuno tra i musicisti italiani più in vista. Il film non essendo mai stato distribuito in Italia viene presentato in splendente copia scaricata da torrent e sottotitolata da alcuni eroici appassionati che sottotitolano anche tutte le serie tv appena escono all'estero. Mi piace pensare che costoro trascorrano il proprio tempo libero ricopiando tutto internet a mano, con la penna d'oca su grandi codici miniati, in bello stile quattrocentesco, come novelli amanuensi. Ovviamente tradotto in Althochdeutsch. Link doverosi: gli ospiti, i curatori, gli amanuensi.

Il protagonista (Chapman) è l'orrendo emokid Jared Leto, ingrassatosi di trenta chili per interpretare la parte. Finalmente invece di un attaccapanni con gli occhi cerchiati di nero che frigna si vede un rassicurante bagonghi che raggiunge il massimo spessore al punto vita. Va detto: Leto è di una bravura sconcertante. Va detto: la somiglianza col vero Chapman è sconcertante (questo è Chapman. Questo è Leto).

La co-protagonista femminile è la troietta in carriera Lindsay Lohan, drogata, ninfomane, bisessuale, amica di Paris Hilton e cresciuta alla corte del Disney Channel come protagonista di pietre miliari del cinema per famiglie quali "Genitori in trappola" e il remake di "Herbie, un maggiolino tutto matto". Con tali credenziali potrebbe e dovrebbe dedicarsi a quei generi cinematografici che i giornalai di corso Buenos Aires tengono nello sgabuzzino dietro la tenda. D'altronde il Disney Channel sta agli Stati Uniti come le scuole delle Orsoline stanno all'Italia (appunto personale - ricordarsi di aggiungere ai news alert queste tag: Hannah_Montana - black_orgy - overdose). Va detto: in questo film Lindsay Lohan è lignea e sempre vestita (tranquilli, si vede poco e incide ancora meno).

Fulcro del film è un libro, da cui Chapman dice di aver preso ispirazione per uccidere il suo idolo. The Catcher in the Rye (in italiano: Il Giovane Holden) compare sul ripiano figo della libreria dell'italiano medio, stretto fra Siddharta di Hesse e Sulla Strada di Kerouac. Sul ripiano sotto ci sono Io Uccido di Faletti, Il Codice Da Vinci di Dan Brown e qualche Moccia a scelta. Il "romanzo di formazione" di cui sopra narra di come un ingenuo e candido adolescente si accorga che il mondo è ipocrita e cattivo. J.D. Salinger, il furbo autore, campa alla grande dal 1951 facendo un cazzo e nascondendosi dai ficcanaso (senz'altro un esempio da seguire). Il giovane Holden chiede continuamente "dove vadano le anatre del laghetto di Central Park quando il laghetto è ghiacciato" e soffre perchè la gente lo prende per il culo. Un'inquadratura di Chapter 27 risolve il mistero. Si vede il laghetto di Central Park ghiacciato e un angolino libero dal gelo pieno di anatre. In quell'angolino scommetto che c'è il tubo di scarico delle fogne dell'Upper East Side, un cocktail più efficace del paraflu: merda, cocaina e tensioattivi old style pre-ecologismo. Le anatre, i furbi palmipedi, stanno tutte lì perchè si sono accorte che l'intruglio ha proprietà impermeabilizzanti non da ridere. Così non sono costrette a ficcarsi continuamente il becco nel culo per prelevare del "grasso" (vabbè) da spalmarsi sulle piume.

Ma come al solito sto divagando. Passiamo ad alcuni interessanti trivia. La casa dove abitava John Lennon è la stessa dove Roman Polanski ha girato Rosemary's Baby. Rosemary's Baby parla del diavolo. La moglie di Polanski è stata fatta a pezzi dalla setta satanica guidata da Charles Manson (ed era incinta). Charles Manson era ossessionato da Helter Skelter dei Beatles. Torna tutto. Questa rivelazione è il gancio per la battuta più bella e intraducibile del film (a memoria: - Did you know Rosemary's Baby was shot here? - The movie? - No. The baby). Ma il tocco di genio del film è un altro. Indovinate come si chiama l'attore che interpreta John Lennon. si vede per due secondi di sfuggita e non assomiglia, ma è stato preso lui perchè si chiama... Mark Chapman.

Qui vi scaricate il torrent. Qui vi scaricate i sottotitoli. Mettete tutto insieme con VLC Player. Come si fa esattamente non lo so, ma per una volta potete anche sbattervi da soli. Buona fusione.

P.S. Chapter 27 NON è una cagata pazzesca. Anzi è bello, ben girato, ben sceneggiato, maniacale nella ricostruzione storica, sporco al punto giusto e si citano perfino i Today Is The Day (un gruppo di cui potevo scrivere quando non avevo voglia). Il loro nome proviene dall'episodio citato in Chapter 27. Il cantante dei Today Is The Day si chiama Steve Austin. Esattamente come il protagonista dell'Uomo da 6 Milioni di Dollari interpretato da Lee Majors. Che in un altro telefilm faceva la parte di uno stuntman. C'è anche un wrestler che si chiama Steve Austin e anche questo ha fatto lo stuntman. Lo Steve Austin wrestler e lo Steve Austin cantante hanno entrambi un tatuaggio con la faccia di Lee Majors - no, basta.

P.S. del P.S. Vi dicevo di The Catcher In The Rye. "Rye" è la segale. Incidentalmente Segale è il cognome di uno dei metallari dietro l'eccelso SoloMacello. Questo figuro era presente alla proiezione di Chapter 27 - no, basta cazzo, ho detto basta.