venerdì 19 dicembre 2008

Le mirabolanti gesta del Fuco in chiesa


C'è questa manifestazione che si chiama "La musica dei cieli", fatta per attirare in chiesa gente cui non frega un cazzo - e infatti la serata comincia con doppia omelia - i preti non evitano mai il tentativo di proselitismo - purtroppo gli infedeli delle nostre parti hanno perso l'abitudine di farli a pezzi.

Due parole sulla location. La chiesa dei SS. Gervaso e Protaso di Novate Milanese si bulla di esistere fin dal 1042. La struttura architettonica visibile oggi è opera dell'insigne Ugo Zanchetta che la ristrutturò nel 1934 con marmi policromi, colonne lombarde lucidissime (panciute come panettoni e cumènda, lontane dallo slancio della colonna classica greca ma sintomatiche dei quattro comandamenti regionali: lavoro, guadagno, spendo, pretendo), capitelli a guanciale, tabernacolo a gazebo memore della belle epoque californiana. E' come trovarsi nel palazzo imperiale di Nerone - se solo l'avessero progettato i grafici di Final Fantasy (non proprio, dai: purtroppo lo Zanchetta non cerca di stupire e il senso delle proporzioni non è nelle sue corde, si ispira all'understatement della buona borghesia di una volta). Il tutto è di una banalità sconcertante, d'altronde l'architettura cattolica è da più di un secolo la palestra del giovane palazzinaro. Comunque questo è niente rispetto alle nefandezze che lo stile è riuscito a produrre in tempi più recenti.

Off topic: una canzone di Robert Wyatt intitolata Catholic Architecture - forse sarebbe ora di intitolargli una cattedrale, la Basilica di Babbo Natale Paralizzato - un gran colpo sarebbe anche solo averlo alla prossima edizione della Musica dei Cieli.

Ma passiamo agli highlights. Bonnie "Prince" Billy con barba da apostolo taglialegna, 38 anni ma ne dimostra 60, grandi sorrisi, tentativi di esprimersi in italiano (e c'è un grande manifesto con foto autentica di Gesucristo sul quale campeggia la scritta "il precursore" che l'ha fatto molto ridere). Si scopre che è stato per la prima volta a Milano nel 1989, quando, diciannovenne, era in viaggio verso l'India con la madre - presumo fricchettona. Se sapessero che quest'uomo è figlio della droga (probabilmente anche fratello, vedasi eloquente galleria fotografica - quest'altra foto fuga ogni possibile dubbio) di certo non parteciperebbe alla rassegna. E infatti Bonnie Prince sembra un po' zavorrato, imbarazzato dalla situazione - pur presentando un concerto da brividi, in cui riarrangia fino a renderli quasi irriconoscibili molti suoi brani classici (da "I See a Darkness" a "Arise Therefore", addirittura del repertorio dei Palace). Chitarra acustica, elettrica (garbata), violino e coro polifonico. I due comprimari che lo accompagnano sono assolutamente all'altezza, gli arrangiamenti elegantissimi, la voce unica. L'ampio spazio ecclesiastico dà quell'accenno di riverbero che ci sta proprio bene. Un grande artista. Quando attacca "I See a Darkness" (interpretata a suo tempo anche da Johnny Cash - son soddisfazioni) un invasato nel banco davanti al mio leva le braccia al cielo e crolla singhiozzante e genuflesso. Scommetto che il parroco non c'è mai riuscito.

Mai probabilmente la chiesa dei SS. Gervaso e Protaso è stata teatro di applausi così scroscianti (in questi casi temo sempre il crollo improvviso, come quella leggenda metropolitana secondo cui un vetro antiproiettile resiste alle raffiche di mitra, ma basta toccarlo delicatamente in un certo punto e si frantuma in mille pezzi). E per vedere una tale affluenza di pubblico bisogna risalire al matrimonio della più figa del paese. Novate non è nota per le sue bellezze muliebri, però il compaesano parrucchiere di Miss Italia nonostante il cognome infelice può mettere una pezza agli scherzi di Madre Natura. Ma perchè non fanno come una volta, "Coiffeur pour dames" in neon corsivo e via andare?

venerdì 12 dicembre 2008

Blues for Godzilla




Se c'è una cosa che mi fa girare i coglioni è quando qualcuno si appropria di titoli che non gli competono. Uno sport in cui, come sempre quando si parla di difetti, gli italiani sono costantemente ai primi posti delle graduatorie mondiali. "Vasco è un rocker". "Zucchero è un bluesman". NO. Un emiliano grasso non potrà mai essere un bluesman, e anche per il rocker ci sono ben poche possibilità (qualcuno effettivamente c'è ma non il mai più nominabile bollito di prima). Anche all'estero non scherzano. L'abuso delle parole "punk" e "funk" nella stessa frase, ad esempio. Spesso aggravata dalla vicinanza di nomi propri di gruppo musicale che contengono della punteggiatura. NO. Tutti questi che mi rifiuto di nominare per intero non sono e non potranno mai essere "punk" o "funk". Sono froci. Non sono certo animati da furia, rabbia o vera incazzatura. Non hanno il tiro necessario. Non hanno imparato il ritmo giusto, perchè davanti alla loro finestra non è mai passato il treno (urbano o interurbano ha poca importanza). Frignano come lattonzoli mentre la lama del norcino si approssima alla giugulare ("ti preeego, non mangiaaarmi!").

Meno male che ci sono i BellRays. E la loro leader, Lisa Kekaula, che sta diventando una vera Big Mama (al momento è cintura nera 2° Dan, lo scatto di livello quando prenderà altri 15-20 chili). Arrivano loro, e quelle due parole di quattro lettere che messe vicine hanno poco senso improvvisamente prendono vita. Punk: il chitarrista, impresentabile d'aspetto (sembra Dana Carvey, non è una bella cosa), è un martello di fuoco. Funk: lei, la Negra (ovvio), capelli a microfono e atteggiamento ma chi cazzo siete voi. Ma anche il bassista (che vedrei bene in fila al centro d'arruolamento dei marines - cresciuto in una roulotte - parlando di sua madre dice "mia sorella") è una grossa palla di gomma che rimbalza giù per le scale. Il batterista è un perfetto uomo qualunque sul rapido delle 18:32. Ma tanto, i batteristi, chi li guarda mai. Cosa aspetta questa gente a pubblicare un disco dal vivo. Cosa aspetta questa gente a pubblicare un disco dal vivo. Cosa aspetta questa gente a pubblicare un disco dal vivo. Ma cosa aspetta. I pezzi che potete ascoltare sopra sono solo una pallida e fuggevole ombra della vita reale.

mercoledì 10 dicembre 2008

Concerto indimenticabile (non ho detto bello, ho detto indimenticabile)


Introdotti dai solidi (per qualcuno soliti) Fuckvegas, gli indescrivibili Shit & Shine si presentano sul palco: due batterie contrapposte, bassista con basso a due corde, cappuccio da coniglio e maschera blu, chitarrista-tastierista acconciato come sopra, più un tizio che tiene in mano un coniglietto a batteria e non si capisce cosa faccia (sa cucinare? è l'autista? è un esperto di drinking games? fa dei pompini fantastici?). I due batteristi (uno dimostra cinquant'anni e l'altro venti), in giubbotto ANAS, mostrano propensione al lavoro ripetitivo e alienante: eseguono un esercizio di batteria all'unisono, sempre identico per un'ora e passa. Il concerto degli Shit & Shine è tutto qui, perchè gli altri due si limitano a fare casino (tanto, sverniciante) sopra questo ritmo meccanico e interminabile. Ah, c'è anche il tizio misterioso che ogni tanto accarezza il coniglietto. Forse qualcuno ricorda un momento del serial Duracell (quarta stagione, episodio 7) in cui il coniglietto rosa amico di tutti suona il tamburo e sbaraglia la concorrenza fatta di coniglietti rosa amici di tutti che suonano il tamburo ma sono alimentati da normali pile zinco-carbone. Controllo quindi che i batteristi non abbiano sul dorso uno sportello a proteggere il vano batterie: non ce l'hanno (ehm... evito ispezioni anali), ma al loro posto potrebbe esserci quel robot batterista presentato qualche tempo fa da non so quale azienda giapponese, la sostanza non cambierebbe. E mi chiedo perchè uno decida di fare il musicista quando si divertirebbe di più alla catena di montaggio (con stipendio sicuro).

Come ben sanno produttori, programmisti radiofonici e uffici stampa promotori di musica stupida, basta suonare un brano qualunque fino allo sfinimento e all'ascoltatore medio piacerà. Il metodo che funziona perfettamente con Vasco e Nek viene sadicamente fatto proprio dagli Shit & Shine. Alla lunga il pubblico va via o resta come pietrificato (molti hanno i tappi nelle orecchie). Qualcuno ha l'incoscienza di chiedere il bis. E comunque questa non è roba nuova, Rhys Chatham persegue gli stessi obiettivi degli Smerda & Lucida da almeno trent'anni. E sul primo disco dei Liars (2001) c'è un brano di oltre mezz'ora che sembra un loop, tanto è ripetitivo. Non lo è.

Durante la tormentosa performance degli anglosassoni, si scatena la tormenta di neve. Il chiasso del furgone spargisale diventa musica. Tutto sommato indimenticabile (come lo è assistere a una fucilazione).

Comunicazione di servizio: il blog riapre a cadenza occasionale con contenuti ridotti e di qualità più scadente.