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venerdì 12 dicembre 2008

Blues for Godzilla




Se c'è una cosa che mi fa girare i coglioni è quando qualcuno si appropria di titoli che non gli competono. Uno sport in cui, come sempre quando si parla di difetti, gli italiani sono costantemente ai primi posti delle graduatorie mondiali. "Vasco è un rocker". "Zucchero è un bluesman". NO. Un emiliano grasso non potrà mai essere un bluesman, e anche per il rocker ci sono ben poche possibilità (qualcuno effettivamente c'è ma non il mai più nominabile bollito di prima). Anche all'estero non scherzano. L'abuso delle parole "punk" e "funk" nella stessa frase, ad esempio. Spesso aggravata dalla vicinanza di nomi propri di gruppo musicale che contengono della punteggiatura. NO. Tutti questi che mi rifiuto di nominare per intero non sono e non potranno mai essere "punk" o "funk". Sono froci. Non sono certo animati da furia, rabbia o vera incazzatura. Non hanno il tiro necessario. Non hanno imparato il ritmo giusto, perchè davanti alla loro finestra non è mai passato il treno (urbano o interurbano ha poca importanza). Frignano come lattonzoli mentre la lama del norcino si approssima alla giugulare ("ti preeego, non mangiaaarmi!").

Meno male che ci sono i BellRays. E la loro leader, Lisa Kekaula, che sta diventando una vera Big Mama (al momento è cintura nera 2° Dan, lo scatto di livello quando prenderà altri 15-20 chili). Arrivano loro, e quelle due parole di quattro lettere che messe vicine hanno poco senso improvvisamente prendono vita. Punk: il chitarrista, impresentabile d'aspetto (sembra Dana Carvey, non è una bella cosa), è un martello di fuoco. Funk: lei, la Negra (ovvio), capelli a microfono e atteggiamento ma chi cazzo siete voi. Ma anche il bassista (che vedrei bene in fila al centro d'arruolamento dei marines - cresciuto in una roulotte - parlando di sua madre dice "mia sorella") è una grossa palla di gomma che rimbalza giù per le scale. Il batterista è un perfetto uomo qualunque sul rapido delle 18:32. Ma tanto, i batteristi, chi li guarda mai. Cosa aspetta questa gente a pubblicare un disco dal vivo. Cosa aspetta questa gente a pubblicare un disco dal vivo. Cosa aspetta questa gente a pubblicare un disco dal vivo. Ma cosa aspetta. I pezzi che potete ascoltare sopra sono solo una pallida e fuggevole ombra della vita reale.

lunedì 17 marzo 2008

Negro profeta in patria


Prendetevi dieci minuti di tempo e guardate questo breve documentario, nessuna tv lo passerà mai. In realtà non è breve ma chi lo ha caricato vuole venderlo, è solo la prima parte ma basta a far venire l'acquolina per il concerto di stasera. Sgombro il campo da eventuali dubbi: non suona l'Art Ensemble of Chicago (magari - anche se due dei membri originali sono salme) ma comunque avremo Roscoe Mitchell sul palco del solito localaccio dove gli avvocati cinquantenni mangiano durante i concerti e palpano le cosce delle loro stagiste mentre le mogli, ignare, sono a casa davanti al Grande Fratello - o forse a letto col Grande Fratello Negro. Non mi metto a raccontare di Roscoe Mitchell, non lo so fare e non me ne vergogno, leggete qui e saprete tutto, nell'intervista (del 1999) il nostro stupisce con affermazioni che anticipano con esattezza quello che sta succedendo oggi nel mondo musicale, riuscendo pure a prendersi gioco di un giornalista borioso e di Blow Up. Riporto il passaggio dell'intervista perchè fa troppo ridere.

Dato che hai nominato Den Haag, conosci un musicista che vive lì, Luc Houtkamp? Suona il sassofono, compone e sperimenta con l'elettronica.


No.

Tra i musicisti più giovani che lavorano a Chicago che opinione hai, ad esempio, di Ken Vandermark?


Non so nemmeno se lo conosco...

Tra gli altri ha suonato anche con John McPhee...


Non lo conosco tanto bene.

E Rob Mazurek? Suona la cornetta...

Non conosco la loro musica.

Fine del siparietto comico. Ovviamente Roscoe (sax) non va in tour con dei pirla, ma si porta Wadada Leo Smith (tromba), stesso giro di Chicago e stessa adorazione per Braxton e il "giovane" Harrison Bankhead (contrabbasso) che non ho mai ascoltato ma dopo stasera potrò abbaiare di conoscerlo da anni. Si vede che di jazz non so niente eh? Viste le figure in cui incappano gli "esperti" quando si bullano al cospetto dei mostri sacri, meglio l'ignoranza.

ROSCOE MITCHELL / WADADA LEO SMITH / HARRISON BANKHEAD
BLUE NOTE (MI)
17 marzo 2008
h. 21:00
ing. € 20 - ridotto € 16 (non so da cosa dipenda la riduzione, nel caso fingete invalidità)

lunedì 28 gennaio 2008

17 minutes over Corsico


Sì, sì, il free jazz è tutto uguale e soprattutto è uguale a sè stesso da quarant'anni e passa. Proprio come la techno, la house, le partite di calcio, lo ska, il metal, il rap, il punk, i film porno, l'indie inglese, la politica, il reggae e potrei andare avanti. Bisogna soffermarsi sulle sfumature. La capacità della mente umana di dimenticare il già visto fa il resto. Sabir Mateen suona indifferentemente sax, clarinetto e flauto traverso (ma non è vero quanto ho scritto prima del concerto, non ha mai suonato con Sun Ra, bensì con un'altra Arkestra, colpa del solito comunicato stampa redatto da qualche incapace), la memoria degli esperti di jazz che conosco non sa citare alcuna contrabbassista donna (e questa ha suonato pure bene) e non capita spesso di poter vedere un concerto seduti a mezzo metro dai musicisti. Che non passeranno alla storia, ma senza dubbio sanno il fatto loro.

sabato 26 gennaio 2008

Corsico is the place

Se non fossi andato domenica scorsa a vedere il William Parker Ensemble avrei senza dubbio trascurato il concerto di stasera. Infatti non conoscevo Sabir Mateen, jazzista free puro e duro che fa parte della lussuriosa sezione fiati vista al Teatro Manzoni. Su Sabir ho scoperto alcune cose. Ha fatto parte della Sun Ra Arkestra (pure lui: magari potrò avere qualche conferma sulle basi aliene in Israele), ha suonato in metropolitana a New York con il Test Quartet (aguzzate la vista: New York e Milano si distinguono per sette piccoli particolari), addirittura un mio amico ha pubblicato un suo disco e io non ne sapevo niente. Stasera suona con Tiziano Tononi alla batteria (eclettico percussionista davvero degno di nota, visto qualche anno fa con l'ottimo progetto Bestia Pensante, di ispirazione krautrock) e Silvia Bolognesi al contrabbasso (strumento assai poco praticato dalle donne, al contrario del basso elettrico). Insomma, ci sono le premesse per salire sul treno per lo spazio profondo (la stazione è proprio di fianco).

SABIR MATEEN TRIO
GHEROARTE' (CORSICO)
26 gennaio 2008
h. 22:30
ing. 10 € + 6 € di tessera annuale

giovedì 24 gennaio 2008

Spaceship Lullaby

Una volta, grazie a lui, ho avuto il piacere di andare a cena con Sunny Murray. Batterista free jazz dei tempi d'oro, un vero bastardo che a settant'anni suonati si fuma dei torcioni di marijuana lunghi un palmo, uno che da giovane rapinava i negozi e quando ha rapinato il negozio sbagliato la mafia gli ha tagliato alcune dita di una mano, costringendolo a suonare la batteria con delle bacchette grosse come randelli. Almeno questo è ciò che racconta. Quest'uomo, come d'altronde qualche altro centinaio di musicisti, ha fatto parte della Sun Ra Arkestra. Sun Ra, oltre ad essere uno degli artisti più visionari della storia della musica, era convinto di essere un alieno e di provenire da Saturno. Un alieno che amava vestirsi da faraone dell'antico Egitto (Ra è il Dio Sole della mitologia egizia - dovete assolutamente vedere questo film delirante) e riteneva di far parte della stessa civiltà extraterrestre di cui faceva parte Gesù Cristo. Al punto che negli anni Settanta - racconta Murray - durante un tour della Arkestra che ha toccato Egitto e Israele Ra l'avrebbe accompagnato a visitare le basi di atterraggio delle astronavi aliene che si troverebbero in Israele e che sarebbero il vero motivo dietro tutte le guerre e guerriglie che insanguinano da decenni la cosiddetta "terra promessa". Naturalmente il batterista chiacchierone (nessuno sa raccontare balle meglio di un negro) non sa dire dove si trovino esattamente le fantomatiche basi. Come sempre la realtà è più semplice e prosaica. Sun Ra si chiama Herman Sonny Blount, nato a Birmingham, Alabama nel 1914 e prima di sbroccare e cominciare a creare della musica senza eguali (che sì, sembra provenire dal cosmo) era un normale pianista che si esercitava con vari gruppi vocali. Su questo disco ci sono le registrazioni di quel periodo. Roba che in confronto a quanto ha fatto dopo non vale assolutamente niente ed è pure registrata malissimo, ma è un simpatico documento storico che dimostra come a volte andare fuori di testa faccia bene (ho detto a volte). E' comunque un ascolto piacevole e il mondo è pieno di completisti.

SUN RA
SPACESHIP LULLABY
ATAVISTIC UMS/ALP243CD (2003)
320 kbps

tracklist here

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lunedì 21 gennaio 2008

Non ve l'avevo detto


Non è un caso se nel corso dell'ultimo anno sono andato a vedere William Parker ben quattro volte. Questa volta oltre al fido Hamid Drake alla batteria (praticamente la sua ombra, mancava solo al Bääfest perchè non hanno cacciato abbastanza soldi) si è portato ben sei negri, per reinterpretare le canzoni di quell'altro gran negro di Curtis Mayfield (sì, quello delle colonne sonore dei film blaxploitation, sì, quello di Superfly). Uno dei sei è un monumento della controcultura americana, Amiri Baraka aka LeRoi Jones, poeta, amico dei beatniks, esponente delle Black Panthers, vecchio, storto e malfermo ma dalla voce ancora autorevole. Inutile che vi dica che sul palco questi sono tutti dei mostri, guardatevi il video e giudicate da soli. Ovvio però che un concerto previsto per le 11 di domenica mattina attiri soprattutto un pubblico di vecchie e visoni (credo di essere stato il più giovane in sala). A seguire buffet: le vecchie e i visoni hanno messo in pratica quanto appreso durante il camp estivo degli All Blacks, gettandosi a corpo morto sui salatini. Una scena orrenda.

lunedì 5 novembre 2007

I concerti del weekend

Cominciamo dalla fine. Sabato sera trasferta a Torino. I Konono N.1 vanno ben al di là di quel che mi aspettavo. Sono in sei: tre likembè amplificati (di diverse tonalità: è come se avessero un basso, una chitarra col fuzz e uno steel drum caraibico), un percussionista con due tam tam, un altro percussionista con un rullante e una clamorosa big black mama che balla a piedi nudi, suona i legnetti e i campanacci (more cowbell! more cowbell!). Ci si agita per due ore su ritmi intricati, ricchissimi, che i sei congolesi snocciolano con invidiabile scioltezza mentre ridono e scherzano. La cosa che si nota immediatamente è la padronanza, la sicurezza che questi musicisti possiedono, mentre qui (in Europa, nel "primo mondo") siamo abituati a vedere gente che quando va bene riesce a star dietro al più banale dei quattro quarti (inciampando, magari). Piccolo problema: invece dei fan della Warp o dei Talking Heads, che al cospetto dei Konono sarebbero morti di orgasmo, il concerto dei negri ha attirato a) un certo numero di negri, e ci sta b) una quantità di pasionarie cattocomuniste, che non capiscono un cazzo di musica e sono lì perchè suona un gruppo del terzo mondo. Come se i Konono avessero bisogno dell'elemosina: mica sono i Radiohead. Avrei preferito un battaglione di pasticcomani minorenni, che almeno alzano le mani, gridano e capiscono quando qualcuno li trascina in un vortice senza ritorno.

Venerdì sera invece ignoranza con i Gorilla. Trio basso/ chitarra/batteria, hard rock come da copione con cantante/chitarrista identico a Ronnie Wood esperto nell'arte dell'assolo in ginocchio e bassista figa bionda capelli lunghi con basso Rickenbacker bianco da figa che a differenza delle comuni bassiste fighe bionde sa suonare almeno un po'. Nonostante la rottura di una corda e l'uso di un basso di riserva per un paio di canzoni (sempre Rickenbacker, rosso questa volta, ma che suonava di merda) mi avessero fatto temere che fosse lei l'esperta di assoli in ginocchio. Invece. I Gorilla non sono certo un gruppo di prima grandezza, ma esperto e dignitoso (e approfittando della birra a poco prezzo del Cox potevano pure sembrare i Motörhead).

sabato 3 novembre 2007

Direttamente dal mercato di Kinshasa


Ecco i Konono N.1. Essendo pigro e taccagno difficilmente un concerto riesce a stanarmi. Fuori regione, addirittura. I Konono N.1 sono quel concerto. Ecco cosa ne ho scritto per Zero:

Quando si pensa alla musica elettrica di sicuro non si pensa all'Africa. Si pensa a luoghi ad alto tasso di tecnologia, dove basta attaccare alla chitarra una scatoletta con la scritta “American Metal” ed eccoti trasformato in Eddie Van Halen. Vezzi da primo mondo. Mai penserei di trovare musica elettrificata, distorta, effettata in mezzo al mercato di Kinshasa, Congo. Avete presente il likembè? Qualunque bancarella afro li vende. È quella scatoletta, di legno o metallo, cassa di risonanza per un numero variabile di lamine metalliche che si suonano in punta di dita. L'oggetto etnico che maneggi per cinque minuti (tanto a suonarlo non impari mai) e poi diventa curioso soprammobile. Il suono del likembè è quasi inudibile. La cassa di risonanza non serve granchè. Al mercato di Kinshasa c'è un gran casino. E i favolosi Konono N.1 vogliono farsi sentire. Di necessità virtù: i likembè li amplificano, con i mezzi primitivi che hanno a disposizione (la batteria della macchina?), e diventano tempesta elettrica (non ci sono arrivati oggi, lo fanno dal 1979). Hanno tam tam, fischietti, il ronzio basso di vetusti diffusori a tromba, pezzi di latta come percussioni, ballerine, microfoni intagliati nel legno. Il ricercatore musicale Vincent Kenis (Crammed Discs) li insegue per vent'anni. Alla fine li trova, li registra, li pubblica. Il pubblico dei rave belgi e olandesi impazzisce. Esperti di musica africana dicono che la musica tradizionale congolese si basa, di solito, su ritmi caraibici, quindi importati. Loro no, sono la giungla, l'evoluzione parallela in un habitat isolato. Resta da capire come funzioneranno qui, nella gabbia tecnologica rappresentata dal mixing desk digitale, dal fonico terrorizzato dai picchi fuori scala. Spero che i leoni fuggano dallo zoo. Konono, spaccate tutto.

Konono N.1 + Africus
Hiroshima Mon Amour (To)
3 novembre 2007
h. 22:00
ing. 13 €

lunedì 8 ottobre 2007

Sempre uguale, sempre diverso

A volte mi chiedo perchè perda il mio tempo per andare a vedere concerti di musica vecchia, sedimentata, che non ha più nulla da dire da almeno trent'anni (questi sono punti di vista altrui, non miei). Bè, perchè questi concerti, come quello del trio di William Parker ieri sera, sono fatti da gente che sa suonare, e lo fa meglio di tutti i più strombazzati musicisti rock-indie-pop-british-radiohead, quelli che vendono miliardi di biglietti in prevendita ai miliardi di parvenu che popolano l'occidente. Semplicemente, é uno spettacolo vedere questa gente che tocca gli strumenti e riesce veramente a piegarli al proprio volere, ad usarli come mezzo di comunicazione. E io voglio vedere degli spettacoli, non gente che quando riesce a finire le canzoni senza sbagliare è un miracolo. Rendiamoci conto, il punk è finito da secoli, e l'attitudine "noi siamo come voi", o peggio, "chi ha la tecnica è un venduto", con lui. Il punk ha inventato l'uovo di Colombo, e chi lo inventa per secondo non vale un cazzo. Figuriamoci chi lo inventa per milionesimo. Poi ci sono dei distinguo: la mancanza di tecnica si può compensare, con energia, rabbia, qualità compositive, anima, "it's only rock'n'roll but i like it" ecc. I Ramones sapevano fare i Ramones e soprattutto non esageravano, scrivevano canzoni che sapevano eseguire senza incartarsi a metà. Il "dramma" è che questa attitudine ha infettato quasi tutti i generi musicali e la maggior parte delle band che calcano i palchi oggi sono sia incapaci tecnicamente che presuntose, volendo muoversi al di sopra delle proprie limitatissime possibilità. Quel panza di William Parker e i suoi compari fanno sì musica che sembra presa di peso dalla discografia di John Coltrane (40 anni e non sentirli), ma cazzo come sono bravi a trasmetterla. E' la terza volta che vedo William Parker quest'anno e ha fatto tre concerti completamente diversi uno dall'altro (questo è stato il più tradizionalista). Cinque minuti di standing ovation. Nonostante questo niente bis, i musicisti avevano fame e il ristorante stava per chiudere. Giusto.

domenica 7 ottobre 2007

Lasciate parlare il negro

Naturalmente venerdì invece di andare a vedere i metallari mi sono addormentato con la faccia nel ragù. Ma d'altronde sono italiano, e come insegnano le migliori menti del mio popolo bisogna predicare bene e razzolare male. Stasera invece c'è uno che predica bene (vedi video) e razzola meglio. Per maggiori informazioni su cosa suona William Parker, leggete cosa ne ho scritto dopo il Bääfest. Contrabbasso (William Parker), batteria (Hamid Drake - garanzia), pianoforte (Eri Yamamoto). Impegnati nel progetto Luc's Lantern col quale Parker intende ripulire la sua musica dalla miriade di influenze che ha raccolto in trent'anni di collaborazioni. Tutto acustico, curiosità per la pianista giapponese. Roba che a New York va fissa al Knitting Factory, qui ci dobbiamo accontentare del magazzino della stazione di Corsico.

William Parker - Luc's Lantern
Gheroartè (Corsico)
7 ottobre 2007
h. 21:30
ing. € 10 + 6 di tessera

domenica 30 settembre 2007

Legna negra

Come i 2manydj's se venissero dal ghetto invece che dal Belgio. Dj Spooky riesce a piantar dentro nel suo set Michael Jackson, i Clash, gli Iron Butterly, Kanye West, gli Eurythmics, il raggamuffin, i Beatles, i Beastie Boys, la techno martellona e Bob Marley. Sul video, full immersion nei corsi di "bandiere del mondo", "la seconda guerra mondiale attraverso i cinegiornali d'epoca", "videogiochi primitivi". I cosiddetti visuals, di solito pomposamente curati da un vj, hanno sempre un curioso effetto sul pubblico, che in loro presenza balla tutto girato dalla stessa parte. Come i bifolchi del Tennessee che ballano la square dance. Come quei branchi di piccoli pesci che si muovono all'unisono (ma i pesci sono più bravi a muoversi all'unisono). Come in palestra, dove un istruttore aguzzino riduce l'essere umano a criceto sul tapis roulant. Abolire i visuals in discoteca, posto dove è più bello usare gli altri sensi.

sabato 29 settembre 2007

The subliminal kid is in town

Quello che vedete nel video è un locale "superfigo" di Basilea, al trentunesimo piano della Messeturm. Una cittadina di nemmeno duecentomila abitanti vanta un locale "di design" che la grande Milano, "metropoli europea", può solo sognare. Il sito del Bar Rouge è curiosamente poco tecnologico e molto ricco di informazioni. Al contrario di quanto fanno i postacci milanesi da vorrei-ma-non-posso, pubblica menu e prezzi: è caro, ma non più dei postacci milanesi, e il reddito pro capite degli abitanti di Basilea (come cazzo si chiameranno?) è sensibilmente più alto di quello dei milanesi. Nel locale superfigo di Basilea non si vedono le facce da papponi o da troie che si vedono nei postacci milanesi. Nel locale superfigo di Basilea c'è un monaco buddista, che nei postacci milanesi verrebbe rimbalzato alla porta perchè non ha la camicia firmata. Quando il locale superfigo di Basilea vuole spendere dei soldi per un dj all'aperitivo, non chiama Fernanda Lessa. Chiama Dj Spooky.

Stasera Dj Spooky suonerà nella nostra bella città, presso lo sgabuzzino delle scope della Stazione Centrale. Presumo non metterà roba "da aperitivo" come nel locale superfigo di Basilea (sono sicuro che là lo pagano tanto e gli ordinano di non passare roba inquietante - anche il locale superfigo di Basilea ha i suoi difetti). Dall'autorevole esponente della scena illbient e gran contaminatore jazz/hip hop mi aspetto un set come quello che ha fatto al Novara Jazz Festival:

Ma mi va bene anche qualcosa di meno integralista (bellissimo questo video):

E' sempre gran musica negra. Stasera sono lì.

Dj Spooky + Dj Pandaj + Costa
Tunnel (Mi)
29 settembre 2007
h. 23:00
ing. 10 €

venerdì 13 luglio 2007

The Careless Flame

Quando pensi all'hip hop pensi alle catene d'oro, ai dollari che volano, alle troie in limousine, ai maranza con le pistole? Oppure a tutto questo scimmiottato con involontaria comicità dagli italiani? Allora il secondo album dei Kill The Vultures da Minneapolis non ti interessa.

KILL THE VULTURES
THE CARELESS FLAME
JIB DOOR (2006)
320 kbps

tracklist here
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domenica 13 maggio 2007

La festa della mamma

Chiamate la mamma e fatele vedere cosa ha creato per lei questo gran bel pezzo d'uomo, quello che si dice un artista completo. Un decennio di cui vergognarsi liofilizzato in tre minuti e ventidue secondi.

sabato 17 marzo 2007

Ieri sera: capelli a microfono

New wave/funk col negro davanti. Un tipo di line up che sta facendo proseliti tra le band più indie del pianeta. Mi vengono in mente i Bloc Party e i Jai-Alai Savant. Gli Eternals sono più bravi. Precisi e ricercati. Niente chitarra (sostituita da loop elettronici), batteria pestona e basso white funk. Si sono pure scusati per "aver suonato male", essendo la prima data del tour. A me non sembra. Nemmeno al resto del pubblico, scarso e contento. Quella dello scarso pubblico è una costante dei concerti che ho visto di recente, colpa del popolo bue? Colpa di certi locali milanesi che non hanno voglia di organizzare cose interessanti? Secondo i gestori del Jail ("la settimana scorsa abbiamo fatto i Tre Allegri Ragazzi Morti, c'era la fila di gente in strada") il popolo è bue. Mi associo.

venerdì 16 marzo 2007

E stasera è venerdì

E finisce il trittico di concerti interessanti di metà marzo. Questi hanno come frontman un altro negro (ex Trenchmouth), ed è tutto quanto ho da dire al riguardo.

The Eternals
Jail (Legnano)
16 marzo 2007
h. 22:30
ing. € 8 con tessera ACSI

Ieri sera

Sapere che il gallerista più alla moda di Milano è disposto a cacciare 200 Euro per un disco della moglie di Nels Cline (da me pagato 10 Euro), non ha prezzo. Vedere che un locale che sta al jazz quanto una serie tv sta al grande cinema non spegne le luci durante i concerti (come al cinema dell'oratorio nel 1976, per paura che gli adolescenti si tocchino), non ha prezzo. E soprattutto, vedere tre negri che sanno evocare i misteri della giungla nera, non ha prezzo. Hamid Drake ha l'agilità dell'animale selvatico, William Parker forse suona troppo e in maniera troppo complessa per lo stile di questo trio (ma si è riscattato alla grande nel secondo set) e Braxton... bè, è Braxton. Mastro soffiatore d'anima. Suo figlio dovrebbe tagliarsi i capelli e andare a lavorare.

giovedì 15 marzo 2007

Stasera è giovedì

Uno degli ultimi dinosauri del free jazz. Musica in via di estinzione. Prima o poi li saluto tutti con un see you. Anthony Braxton non ha ancora fatto le prove generali del funerale. Stasera è con Hamid Drake alla batteria (che di solito gira con Spaceways Inc.) e William Parker al contrabbasso (che invece frequenta John Zorn). Questi due suonano spesso insieme e dovrebbero essere una sezione ritmica di precisione chirurgica. Certo, non saranno come quelli del video (Braxton con Jack DeJohnette, Miroslav Vitous e Chick Corea, alle prese con Impressions di John Coltrane, Woodstock, tardi anni 60). Sul vecchio Braxton non garantisco, ma il carisma dovrebbe bastare. Il Braxton giovane invece fa questo e anche questo.

Anthony Braxton, William Parker & Hamid Drake
Blue Note (Mi) (*)
15 marzo 2007
h. 21:00
ing. € 20/16

(*) Sì, lo so, è un posto di merda. Per fortuna questo concerto non fa parte della programmazione ordinaria ma della rassegna Suoni & Visioni, quindi penso si potrà vedere il concerto in pace senza dover sopportare il pubblico di avvocati papponi che staziona smascellando in quella mensa per arrivisti che si chiama Blue Note.

venerdì 2 marzo 2007

Ieri sera

Kill The Vultures in formazione da camera (duo) con un solo cantante (quando sono al completo ne hanno tre, ovviamente con un ventaglio di sonorità molto più ampio). Comunque bravo e in grado di trasmettere parecchio calore blues (simil-blues). In scaletta anche una poesia dedicata a George W. Bush (non credo "dedicata" nella comune accezione del termine). Peccato che la loro performance sia stata penalizzata da un paio di accadimenti. Il locale, più che nuovo e minuscolo, non ha nulla alle pareti che possa assorbire il suono, e si è quindi creato l'effetto eco da tazza del cesso. L'impianto è ignobile. E ha trasformato i loro drones granulosi e intrisi di jazz in interminabili sgommate sulla ghiaia. Molti brani erano riconoscibili solo per le armonie vocali, e non so cosa abbia pensato chi non li aveva mai sentiti. Insomma, non ne sono usciti molto bene, anche se non per colpa loro. Appaiono più lontani stilisticamente dall'hip hop di quanto avevo previsto, e secondo me è un bene. Dulcis in fundo: arrivano i miei amici, proibiscono il bis e si esibiscono nel numero della multa. Sono stati ovviamente chiamati dagli inquilini del soprastante condominio, che non hanno nemmeno tutti i torti (sfido chiunque a sentire del noise che ti filtra dal pavimento quando vuoi dormire). Ma perchè la multa non diventa risarcimento per i vicini importunati? No, se la tengono gli sbirri di seconda categoria. Il "disturbo della quiete pubblica" diventa ulteriore fonte di furto a favore dello stato. Dovete morire dolorosamente, politici, vigili, tutti quanti.

giovedì 1 marzo 2007

Stasera

Dimenticate ciò che sapete dell'hip hop, perchè i Kill The Vultures sono diversi. Rappano, sì, ma sono più attenti a raccontare storie che a sfoderare rime. I beat li hanno, ma sembrano fatti con bidoni e scatolame. Campionano, ma solo dischi rigati di jazz antico. Lo scratch, le puttane, le catene d'oro non esistono. Tantomeno le pretese intellettuali o politiche. C'è poesia, c'è notte, c'è alcool. E un'attitudine primitiva, spesso ispida e rude, come se il rap l'avessero inventato loro, partendo dal jazz, dal blues, dai rumori che si sentono giù in strada (non è vero, ma meritano). Questo concerto è interessante anche per un altro motivo: a vedere questo genere di cose (un altro esempio: Dälek, ancora più industriali e monocordi dei Vultures) i b-boys all’italiana non vengono. Quanto sono patetici i b-boys all’italiana. Quelli che gesticolano come gli spastici e si salutano facendo i giochini con le mani come i negri. Quelli che si arrampicano sugli specchi per costruire rime dalla comicità involontaria, col berretto di lana con su scritto “criminal” calato a mezza palpebra, la testa un po’ piegata, bocca truce e braccia conserte. Quelli che parlano di “quartiere” (i più audaci, di “ghetto”). Consultate il grande Bucknasty per un assortimento vasto ed esilarante di rapper di mammà – questo ad esempio mi fa sganasciare! Poi vai a vedere il negro vero (l’ultimo che mi è capitato è Aloe Blacc) e di tutte le zarrate che fanno i minchioni nostrani neanche l’ombra! Anche i Kill The Vultures, che ce l’hanno il ghetto a casa loro, non ne parlano! No, raga, non è cosa. La vostra kru non è di Minneapolis. Non ce l’avete nel dna. Il mio amico LaLonde non vi prenderebbe nemmeno per pulire il cesso. E se foste davvero di posti come Scampia o il quartiere Zen non vi fareste belli con l’hip hop. Vorreste essere come Carmelo Zappulla.

KILL THE VULTURES
Funhouse (Mi)
1 marzo 2007
h. 21:00
ing. € 10 con tessera ARCI