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mercoledì 14 gennaio 2009

Al cineforum


In Italia siamo al punto che se vuoi vedere un film decente devi recarti in un ex negozietto monovano trasformato in centro culturale con una cinquantina di sedie di legno e un tappeto (dove autopunirsi nella posizione del fior di loto se arrivi tardi e le sedie di legno sono già tutte occupate). Ieri sera è andata così. Situazione da cantina rumena in epoca Ceausescu, con i sovversivi filo-occidentali che si ritrovano per vedere Rambo 2, e chi pesca la pagliuzza più corta sulla porta a fare il palo, tre fischi brevi e uno lungo se arrivano quegli infami della Securitate.

Il film. Chapter 27, dell'esordiente J.P. Schaefer, racconta dell'omicidio di John Lennon dal punto di vista dell'assassino Mark David Chapman. Vabbè, il folle va a New York, aspetta Lennon sotto casa per tre giorni, si fa autografare il disco, gli spara, Lennon crepa, Chapman va in galera. Non gridate "Spoiler! Spoiler!" perchè non è la trama il punto, è come se vi avessi raccontato il Gesù di Zeffirelli. Chapman dopo trent'anni e un solo omicidio è ancora in gabbia (mica come da noi), nel caso lo scarcerassero mi offro di ospitarlo, chissà mai voglia rinverdire i fasti del passato collaborando con qualcuno tra i musicisti italiani più in vista. Il film non essendo mai stato distribuito in Italia viene presentato in splendente copia scaricata da torrent e sottotitolata da alcuni eroici appassionati che sottotitolano anche tutte le serie tv appena escono all'estero. Mi piace pensare che costoro trascorrano il proprio tempo libero ricopiando tutto internet a mano, con la penna d'oca su grandi codici miniati, in bello stile quattrocentesco, come novelli amanuensi. Ovviamente tradotto in Althochdeutsch. Link doverosi: gli ospiti, i curatori, gli amanuensi.

Il protagonista (Chapman) è l'orrendo emokid Jared Leto, ingrassatosi di trenta chili per interpretare la parte. Finalmente invece di un attaccapanni con gli occhi cerchiati di nero che frigna si vede un rassicurante bagonghi che raggiunge il massimo spessore al punto vita. Va detto: Leto è di una bravura sconcertante. Va detto: la somiglianza col vero Chapman è sconcertante (questo è Chapman. Questo è Leto).

La co-protagonista femminile è la troietta in carriera Lindsay Lohan, drogata, ninfomane, bisessuale, amica di Paris Hilton e cresciuta alla corte del Disney Channel come protagonista di pietre miliari del cinema per famiglie quali "Genitori in trappola" e il remake di "Herbie, un maggiolino tutto matto". Con tali credenziali potrebbe e dovrebbe dedicarsi a quei generi cinematografici che i giornalai di corso Buenos Aires tengono nello sgabuzzino dietro la tenda. D'altronde il Disney Channel sta agli Stati Uniti come le scuole delle Orsoline stanno all'Italia (appunto personale - ricordarsi di aggiungere ai news alert queste tag: Hannah_Montana - black_orgy - overdose). Va detto: in questo film Lindsay Lohan è lignea e sempre vestita (tranquilli, si vede poco e incide ancora meno).

Fulcro del film è un libro, da cui Chapman dice di aver preso ispirazione per uccidere il suo idolo. The Catcher in the Rye (in italiano: Il Giovane Holden) compare sul ripiano figo della libreria dell'italiano medio, stretto fra Siddharta di Hesse e Sulla Strada di Kerouac. Sul ripiano sotto ci sono Io Uccido di Faletti, Il Codice Da Vinci di Dan Brown e qualche Moccia a scelta. Il "romanzo di formazione" di cui sopra narra di come un ingenuo e candido adolescente si accorga che il mondo è ipocrita e cattivo. J.D. Salinger, il furbo autore, campa alla grande dal 1951 facendo un cazzo e nascondendosi dai ficcanaso (senz'altro un esempio da seguire). Il giovane Holden chiede continuamente "dove vadano le anatre del laghetto di Central Park quando il laghetto è ghiacciato" e soffre perchè la gente lo prende per il culo. Un'inquadratura di Chapter 27 risolve il mistero. Si vede il laghetto di Central Park ghiacciato e un angolino libero dal gelo pieno di anatre. In quell'angolino scommetto che c'è il tubo di scarico delle fogne dell'Upper East Side, un cocktail più efficace del paraflu: merda, cocaina e tensioattivi old style pre-ecologismo. Le anatre, i furbi palmipedi, stanno tutte lì perchè si sono accorte che l'intruglio ha proprietà impermeabilizzanti non da ridere. Così non sono costrette a ficcarsi continuamente il becco nel culo per prelevare del "grasso" (vabbè) da spalmarsi sulle piume.

Ma come al solito sto divagando. Passiamo ad alcuni interessanti trivia. La casa dove abitava John Lennon è la stessa dove Roman Polanski ha girato Rosemary's Baby. Rosemary's Baby parla del diavolo. La moglie di Polanski è stata fatta a pezzi dalla setta satanica guidata da Charles Manson (ed era incinta). Charles Manson era ossessionato da Helter Skelter dei Beatles. Torna tutto. Questa rivelazione è il gancio per la battuta più bella e intraducibile del film (a memoria: - Did you know Rosemary's Baby was shot here? - The movie? - No. The baby). Ma il tocco di genio del film è un altro. Indovinate come si chiama l'attore che interpreta John Lennon. si vede per due secondi di sfuggita e non assomiglia, ma è stato preso lui perchè si chiama... Mark Chapman.

Qui vi scaricate il torrent. Qui vi scaricate i sottotitoli. Mettete tutto insieme con VLC Player. Come si fa esattamente non lo so, ma per una volta potete anche sbattervi da soli. Buona fusione.

P.S. Chapter 27 NON è una cagata pazzesca. Anzi è bello, ben girato, ben sceneggiato, maniacale nella ricostruzione storica, sporco al punto giusto e si citano perfino i Today Is The Day (un gruppo di cui potevo scrivere quando non avevo voglia). Il loro nome proviene dall'episodio citato in Chapter 27. Il cantante dei Today Is The Day si chiama Steve Austin. Esattamente come il protagonista dell'Uomo da 6 Milioni di Dollari interpretato da Lee Majors. Che in un altro telefilm faceva la parte di uno stuntman. C'è anche un wrestler che si chiama Steve Austin e anche questo ha fatto lo stuntman. Lo Steve Austin wrestler e lo Steve Austin cantante hanno entrambi un tatuaggio con la faccia di Lee Majors - no, basta.

P.S. del P.S. Vi dicevo di The Catcher In The Rye. "Rye" è la segale. Incidentalmente Segale è il cognome di uno dei metallari dietro l'eccelso SoloMacello. Questo figuro era presente alla proiezione di Chapter 27 - no, basta cazzo, ho detto basta.

martedì 18 marzo 2008

Arriva la madama


Stasera curioso evento in un posto a me ignoto, il Circolo Culturale La Scheggia. Madame P (video) costruisce loop elettronici di voci e sonorizza un film muto del 1919. La Madama oltre a essere molto brava e a poter vantare numerosi tour americani ed europei, è anche amica mia quindi la garanzia di qualità è assicurata.

MADAME P sonorizza MADAME DUBARRY di ERNST LUBITSCH (1919)
CIRCOLO CULTURALE LA SCHEGGIA (Mi)
18 marzo 2008
h. 21:00
Dovrebbe essere gratis con tessera (e un'altra inutile tessera andrà a gonfiare ulteriormente un portafoglio pieno di tessere e biglietti da visita - soldi pochissimi, e quasi tutti di metallo, pesanti e che non valgono un cazzo)

Due parole su ieri sera: al Blue Note trattamento principesco, accredito e tavolo riservato, peccato non permettano di filmare. Di fotografare sì, di filmare no. Comunque ottima prova dei due mostri sacri più un "giovane". Siamo ai confini del jazz. Quello che hanno suonato viene considerato jazz per convenienza e curriculum dei musicisti, perchè hanno il sax e la tromba. Ma io lo definirei piuttosto "noise acustico", o "musica contemporanea", qualcun altro potrebbe anche dire "roba pallosa e seriosa da intellettuali borghesi di sinistra". Solo Wadada Leo Smith (alla tromba) in qualche passaggio mi ha ricordato che questa dovrebbe essere la musica dei negri. Mitchell si è esibito in un paio di sfuriate al sax in respirazione circolare (come si faccia non lo capirò mai) e Harrison Bankhead, il "giovane" (cinquant'anni, centoottanta chili, vestito con una specie di tendaggio cinese coi draghi ricamati) al contrabbasso e violoncello, è un mostro. Sa tirar fuori dai suoi strumenti una varietà di suoni che non credevo possibili. Sono tre solisti fenomenali, che mi hanno infatti convinto pienamente quando hanno suonato da soli, un po' meno in ensemble. L'impressione è che la formazione in trio appiattisca le genialità e le asperità di ognuno. Opinione personalissima e discutibilissima, io di jazz non so un cazzo, non capisco un cazzo e non voglio nemmeno capire. Mi piace e basta.

mercoledì 13 giugno 2007

Cadillac Cabo Wabo Margarita

Ho visto "Grindhouse - A prova di morte". Due volte. Chi volesse andarlo a vedere e non volesse (come me) sapere nulla del film prima di vederlo farebbe meglio a smettere di leggere e recarsi senza indugio nel peggior cinema della sua zona (è un film che andrebbe visto necessariamente in un cinema brutto, stantio di muffa e con le sedie di legno, ma credo non ce ne siano più, sono tutti multisala asettici). La storia non ve la racconto, potrebbe essere un'interpretazione di "Delitto e Castigo" oppure, con un incrocio letterario, il Vaughan di "Crash" contro una collezione di donne che dialogano come nei romanzi di Bret Easton Ellis. Grindhouse è un altro tassello nella cosmogonia tarantiniana, tutti i suoi film sembrano svolgersi nello stesso mondo di fantasia, potrebbero essere gli anni 70 di un universo parallelo in cui esistono cellulari, bancomat e SUV (che nell'inseguimento finale fanno una brutta fine, con tutte le macchine che ci sono sono proprio due SUV a finire speronati dalle maestose muscle car di Kurt Russell e delle ragazze). Prove a questo riguardo ce ne sono parecchie. La suoneria del cellulare di Rosario Dawson è il tema portante di Kill Bill. La stessa Dawson fuma le Red Apple (le stesse sigarette che fuma Bruce Willis in Pulp Fiction). Esiste il Big Kahuna Burger ("dove gli hawaiani fanno gli hamburger"). Kim (Tracie Thorns) da una sua battuta ("Non bestemmiare") lascerebbe intendere di essere la fidanzata di un Jules Wynnfield post-conversione. Il film non dice però se è vegetariana o meno ("La mia ragazza è vegetariana, e questo fa di me praticamente un vegetariano"). Curiosità che ho notato nella seconda visione: ci sono due omaggi a Johnny Cash (il primo nel bar di Warren, dove compare un manifesto con la scritta Cash Only e la celeberrima foto in cui The Man In Black fa il dito, il secondo nel drugstore, dove il commesso appassionato di riviste di moda tiene una sua action figure sul bancone), ma non compare nemmeno una sua canzone nella colonna sonora. Per beccare tutti i riferimenti presenti in un film che è un vero inno alla gioia di stare in una sala buia, bisognerebbe vederlo altre venti volte (devo anche capire che animale è la statuetta sul radiatore della macchina di Kurt Russell). E' il film più rock'n'roll dell'anno. D'ora in poi potrò anche dividere il genere umano in due categorie: chi ha visto "Punto Zero" e chi no. Qui un bel po' di curiosità, qualcuna secondo me è sbagliata.

lunedì 5 marzo 2007

Tre film tre

Visti nel weekend. In ordine di gradimento.

1) A Scanner Darkly, di Richard Linklater. Film geniale. Per la tecnica realizzativa, prima girato come un film “normale”, poi ridisegnato con vena grafica straordinaria (tra Moebius e Grand Theft Auto), fotogramma per fotogramma, può già essere considerato pietra miliare. Se poi la sceneggiatura è la trasposizione cinematografica di uno tra i migliori romanzi di Philip K. Dick (Filippo Cazzo?) si rasenta il capolavoro. Il primo cartone animato in cui si può parlare di “interpretazione”. Gli attori sono disegnati ma recitano come in un film normale, il risultato è straniante. Bravo Keanu Reeves, ancora meglio Robert Downey Jr. nella parte del paranoico irrecuperabile. Il fatto che una produzione indipendente, o quasi, sia riuscita a radunare interpreti di tale fama (ci sono anche Wynona Ryder e Woody Harrelson) la dice lunga sulla bontà del progetto. D'altronde il cartone animato mi sembra l'unico modo per poter rendere in maniera plausibile le tute disindividuanti, non ci sono effetti speciali che tengano. Secondo me, il miglior film del 2006.

2) Little Miss Sunshine, di Jonathan Dayton e Valerie Faris. Famiglia eccentrica e dilaniata da incomprensioni insanabili si riconcilia una volta alle prese con le difficoltà di un viaggio on the road da Armata Brancaleone. Volemose bene. Film che vorrebbe essere underground, ma ormai questo underground è più realista del re. Praticamente identico ai Tenenbaum e a Transamerica, fa il verso a un modo di fare cinema carino e stantio, buonista da far schifo, e, se proprio bisogna ritrarre la famiglia americana non del tutto conforme, una megaproduzione come La Famiglia Addams è molto ma molto più caustica. Inoltre, il personaggio più divertente (il nonno, interpretato da Alan Arkin) viene fatto morire a metà film. Basta però questo personaggio per far raggiungere una sufficienza stiracchiata a Little Miss Sunshine.

3) Black Dahlia, di Brian De Palma. De Palma non fa un bel film da 23 anni (“Omicidio a Luci Rosse”, 1984). Ah no, c'è Carlito's Way del 1993, ma è sommerso da un mare magnum di cazzate. L'ultima in ordine di tempo è Black Dahlia. Ovvero come trasformare un romanzo contorto, non convenzionale, straordinario nel riuscire a ricreare l'atmosfera completamente marcia della Hollywood dell'immediato dopoguerra in una storiella lineare, patinata, riassunta malissimo e incomprensibile a chi non ha letto il libro. Film buono per mettere in mostra due attorucoli ben pettinati e lo sguardo bovino di Scarlett Johansson. Mi chiedo come James Ellroy abbia potuto approvare una trasposizione così convenzionale del suo romanzo. D'altronde lo sceneggiatore ha scritto solo “La guerra dei mondi” per Spielberg e, tra le note biografiche di IMDB, scopro che la sua sceneggiatura di Black Dahlia era stata scartata anni fa da David Fincher (uno che al giorno d'oggi ne capisce più di De Palma). Stessa sorte subì una sceneggiatura preparata per “Guida Galattica per Autostoppisti”. Tra gli attori si salva solo Fiona Shaw nella parte della vecchia pazza, ma è poco più di un cameo. Soporifero.