I concerti del weekend
Venerdì sera Rhys Chatham: accompagnato dalla crema della sperimentazione milanese, il newyorkese presenta un concerto che sembra il perfetto anello di congiunzione fra i Velvet Underground strumentali e i Sonic Youth. Approccio rock quindi, molto diverso e molto più casinista di quanto proposto normalmente da O' Artoteca. Ho sbagliato nel post precedente a liquidare Chatham come "epigono dei Sonic Youth" - non si può sapere tutto - se quel che ha suonato corrisponde a quel che ha detto («eseguiremo "Guitar Trio" nel modo più fedele possibile all'originale degli anni Settanta»), non è epigono, ma ispiratore. Il caro Jason chiede «come mai questo riesce a tirare un accordo per mezz'ora e risulta piacevole, mentre se lo facciamo noi fa schifo?». Perchè è di New York e non di S.Stefano Ticino o di Rovato o di Forlimpopoli, è questione di genetica. Dopo un'ora di concerto Chatham ha ancora voglia di suonare e, nonostante le rimostranze dei gestori che temono le rappresaglie del vicinato, esegue coi suoi un bis di cinque minuti, atonale e assolutamente irritante per la vecchia del piano di sopra. Interessante il video di immagini a lentissima dissolvenza (di Robert Longo), peccato siano riusciti a far funzionare il lettore dvd solo dopo tre quarti d'ora di tentativi. Risultato: gran parte del concerto in bicromia blu e nera, due colori che sono geneticamente non miei.
Domenica pomeriggio invece il Fuco si è recato al teatro dell'Opera. Non vado mai a vedere la musica classica, ma stavolta si è verificato un evento straordinario nel suo campo, ovvero il compositore che dirige la propria musica. E non un compositore qualunque, ma uno dei maggiori del Novecento, celebre ai più per aver prestato le proprie musiche a Shining di Kubrick. Sembrava di stare al gerontocomio, però il profumo (un melange fra segheria e magazzino dell'Ikea, la sala è tutta foderata in legno) sprigionato dall'Auditorium di Milano è assai gradito alle nari. Di musica classica capisco meno che di jazz, quindi non posso dire altro che "bravi" all'orchestra e al direttore. Krzysztof Penderecki dirige prima un brano proprio (del 2001), ricco di percussioni e suggestioni cinematografiche tese e oscure, con un trio di violoncelli in primo piano, e poi la Quarta di Beethoven, una delle sinfonie meno conosciute che, in effetti, non ha temi portanti memorabili. Mi devo fidare del pubblico di grandi invalidi che si è spellato le mani richiamando i protagonisti sul palco quattro o cinque volte. Certo che gli organizzatori sembrano voler allontanare intenzionalmente il pubblico da appuntamenti come questo. Sul programma ufficiale (che contiene anche una selezione di ricette polacche in omaggio al direttore, pancione di caratura internazionale - viva la minestra di maiale e fagioli!) c'è una lettura critica dell'opera di Penderecki che solo altri direttori d'orchestra credo siano in grado di comprendere.
Cito la boiata pazzesca: «il Tranquillo spegne l'intreccio "passionato" (come prescritto agli interventi dei solisti) nella pace di una quinta vuota Do-Sol, la cui indeterminatezza era presagita dal repentino passaggio da maggiore a minore delle triadi che caratterizzavano il ritornello basato sull'Adagio, e che "risolve" l'ambito di trìtono Do-Sol bemolle del motivo di apertura». Insomma mancano solo l'occhio della madre e il montaggio analoggico. A completare l'atmosfera fantozziana contribuisce l'elenco completo di titoli, cariche e onorificenze detenuti dal cardinal conte duca Penderecki. Mancano solo lup. mann., gran. figl. di putt. e la coppa Uefa. Sarò pure un ignorante, ma non ho bisogno di sapere di trìtoni o quinte vuote per apprezzare la musica - io ci vado lo stesso e ascolto con lo stesso atteggiamento che ho al cospetto dei Motörhead, ma con tirate così inutili e pretenziose ti giochi un bel novanta per cento del pubblico potenziale, quello col complesso d'inferiorità al cospetto della kultura. Cazzi loro.